Come si evince dai recenti dati resi noti dal Ministero dell’Istruzione francese, una componente di studenti sempre più elevata proviene da famiglie di fede islamica. Quest’ultima, oltre ad una serie di sacri rituali ed osservanze, prevede l’utilizzo canonico di alcuni elementi di abbigliamento specie nelle aree aperte al pubblico, tra cui le scuole. Si badi che tali elementi, che restano fermamente discussi in Occidente, costituiscono basilare elemento in termini di ottemperanza alla fede e vettore di massima espressione della medesima. L’utilizzo del burqa e del velo, dipendente dalla confessione sunnita o sciita della fede maomettana, ha da sempre generato, in termini di presunto attentato alla sicurezza (specie dopo i tragici eventi registrati in Europa rivendicati attivamente dalle organizzazioni terroristiche internazionali), forti polemiche espresse anche in sede politica: numerosi partiti di destra hanno proposto di vietare qualunque elemento di abbigliamento e vestiario che costituisse ostacolo nell’identificazione della persona, creando un turbine di discussione senza scelte politiche precise. La Francia, all’indomani di una crisi sociale che perdura tra una componente immigrata e quella “autoctona”, si avvicina a disposizioni che, in ambiente politicamente ed etnicamente neutri come la scuola, potrebbero condurre all’esasperazione quella mera componente di stabilità che ancora caratterizza il sistema del vivere comune, specie tra giovani e giovanissimi.
Alle alunne sarà vietato indossare l’abaya, una larga tunica indossata da alcune donne musulmane, nelle scuole statali francesi, ha dichiarato in una nota il Ministro dell’Istruzione. La norma verrà applicata non appena prenderà avvio il nuovo anno scolastico, il 4 settembre. La Francia vieta severamente i riferimenti religiosi nelle scuole statali. “Quando entri in una classe, non dovresti essere in grado di identificare la religione degli alunni solo guardandoli”, ha detto il ministro dell’Istruzione Gabriel Attal alla TV francese TF1, aggiungendo inoltre alla dichiarazione: “Ho deciso che l’abaya non può più essere indossata nelle scuole.” La mossa arriva dopo mesi di dibattito sull’uso dell’abbigliamento di stampo religioso nelle scuole pubbliche, L’indumento viene sempre più indossato nelle scuole, portando a una divisione di natura etno-politico-religiosa al loro interno, con i partiti di destra che risultano favorevoli ad un divieto mentre gli omologhi di sinistra hanno espresso preoccupazione per i diritti delle donne e ragazze musulmane. “Laicità significa libertà di emanciparsi attraverso la scuola”, ha detto Attal a TF1, sostenendo che l’abaya è “un gesto religioso, volto a testare la resistenza della repubblica verso il santuario secolare che la scuola deve costituire”. Ha detto che fornirà attraverso nota ufficiale regole e riferimenti chiari a livello nazionale prima dell’apertura delle scuole dopo le attuali ferie estive.
Il dibattito sui simboli islamici si è intensificato da quando un rifugiato ceceno ha aggredito l’insegnante Samuel Paty, che aveva mostrato agli studenti le caricature del profeta Maometto, vicino alla sua scuola in un sobborgo di Parigi nel 2020. L’evento ha causato uno shock in tutta la comunità scolastica a livello nazionale per settimane. L’annuncio è la prima grande decisione politica di Attal, nominato ministro dell’Istruzione francese dal presidente Emmanuel Macron quest’estate all’età di 34 anni. Il CFCM, un organismo nazionale che rappresenta molte associazioni musulmane, ha affermato che i soli capi di abbigliamento non costituiscono “un segno religioso” distintivo per le rispettive comunità: l’atteggiamento del Ministero risulta a loro avviso deliberatamente provocatorio e senza basi reali, e rischierebbe di compromettere le libertà d’espressione. In Italia, anche a livello legale, la situazione pare delicata: è proibito coprire il volto totalmente per questioni di pubblica sicurezza specie in occasione di dimostranze e manifestazioni pubbliche. In alcuni comuni (Novara, Azzano Decimo) i rispettivi sindaci hanno proibito l’utilizzo del burqa / velo integrale in pubblico, pertanto anche a scuola.
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