Alla riduzione dei licei da cinque a quattro anni, balza agli onori della cronaca la proposta del sottosegretario all’Istruzione, Angela D’Onghia, che ha avanzato l’ipotesi di una rimodulazione del ciclo di studi che va dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di I grado, passando per la primaria (ciclo di otto anni), andando a ridurre gli anni della scuola media da tre a due.
Sarebbe una operazione controproducente soprattutto considerata l’età degli alunni che escono dagli esami di terza media all’età di quattordici anni e che devono imbattersi in un nuovo percorso formativo delle scuole superiori.
Ridurre di un anno la frequenza delle scuole medie significa anche non permettere all’alunno di raggiungere pienamente i gli obiettivi di apprendimento necessari al raggiungimento delle competenze da acquisire al termine degli otto anni di istruzione obbligatoria. Riducendo di un anno le scuole medie l’alunno ne uscirà deficitario di competenze di base indispensabili per il proseguimento degli studi e le lacune che non avrà colmato durante gli anni della scuola secondaria di I grado difficilmente le colmerà nel futuro.
I tre anni della scuola secondaria di I grado sono fondamentali per permettere all’alunno di acquisire appieno quelle competenze di base che poi saranno spendibili nel mondo del lavoro. La proposta del sottosegretario D’Onghia rientra ovviamente in un discorso di respiro europeo, in quanto tutto è finalizzato all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Occorre ricordare che, mentre gli altri Paesi dell’Europa hanno standard di apprendimento molto più elevati deli nostri, in Italia è noto che la scuola media è considerato l’anello debole del sistema d’istruzione e che gli standard di apprendimento sono lontani da quelli degli altri Paesi del Vecchio Continente. Non dobbiamo dimenticare che gli alunni italiani hanno carenze nelle abilità di base linguistiche di lettura e scrittura e di calcolo matematico, per cui ridurre di un anno le scuole medie significherebbe accrescere maggiormente quel divario che ci allontana dagli standard europei.
Senza dire che questa operazione, qualora andasse in porto creerebbe ulteriore terremoto nel mondo della scuola (già abbastanza terremotato) sulla formulazione degli organici degli insegnanti, degli esuberi e duna riformulazione dei programmi didattici che dovranno essere necessariamente rivisti, accorciati come pure i traguardi per il raggiungimento delle competenze finali. Proprio il ciclo dei tre anni della scuola secondaria è quello che non deve essere ridotto, ma riformulato in maniera diversa andando ad incidere, particolarmente, sul rafforzamento delle competenze di base di italiano, matematica e lingue straniere, discipline in cui gli alunni delle medie incontrano maggiori difficoltà.
Se andiamo a diminuire gli anni della scuola secondaria di I grado e di conseguenza collegandoli alla riduzione dei licei a quattro anni, cosa ne viene fuori. Non certamente alunni preparati e ben formati ad entrare nel mondo del lavoro, ma tutt’altro! Un alunno che esce con due anni in meno dal percorso scolastico non avrà acquisito il pieno possesso delle competenze spendibili e si ritroverà svantaggiato.
Deve essere chiaro che l’Italia fatica a competere con l’Europa perché deve modificare la sua mentalità e il suo modo di porsi di fronte alle sfide che l’Europa lancia.