“Percorsi particolarmente severi e selettivi dovrebbero avere come contropartita un ripensamento del trattamento economico degli insegnanti e del loro prestigio sociale. Sono convinto che se si cambiasse su questo versante gli aspiranti all’insegnamento vi sarebbero”: a parlare delle criticità del Dpcm 60 Cfu e di percorsi abilitanti degli insegnanti è stato Massimo Baldacci, docente di Pedagogia all’Università di Urbino e componente SIPED (Società italiana di pedagogia).
Cosa manca nel Dpcm?
“Occorrerebbe una riflessione più chiara sul tipo di insegnante che si vuole formare, al momento latitante all’interno del decreto. Quest’ultimo sta passando nel dibattito come il decreto dei 60 Cfu, un’indicazione puramente quantitativa. Sembra che basti accumulare crediti per formare l’insegnante, come se si dicesse che il compito di un muratore è accumulare mattoni senza indicargli cosa deve costruire. Se non si chiarisce il tipo di insegnante che si vuole formare allora non basta indicare le competenze. La formazione rischia di diventare frammentaria. Un esempio è l’idea di insegnante-ricercare di Dewey, un docente in grado di affrontare con uno spirito di ricerca i problemi della pratica educativa. Si dovrebbe chiarire questo, che al momento manca”.
Come abbiamo scritto, sembra si stia sbloccando la situazione relativa al Dcpm previsto dal decreto 36 del 2022 convertito in legge 79 del 2022, che doveva essere emanato entro il 31 luglio del 2022. Sembra che finalmente, con mesi e mesi di ritardo, verrà pubblicato a breve.
A parlare di queste e altre domande, in un appuntamento in diretta, sono stati anche Marisa Pavone, docente di Pedagogia speciale all’Università di Torino e componente SIPES (Società italiana di pedagogia speciale) e Roberto Trinchero, docente di Pedagogia all’Università di Torino e membro del direttivo nazionale SIRD (Società italiana di ricerca didattica).
Modera il vicedirettore della Tecnica della Scuola Reginaldo Palermo. La diretta sarà visibile come sempre sui canali social Facebook e YouTube della Tecnica della Scuola.
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Il nuovo sistema di reclutamento
Si tratta del decreto del presidente del Consiglio che regola i contenuti della prossima formazione universitaria necessaria per diventare insegnante – laurea più 60 crediti formativi universitari (Cfu) – e al tempo stesso stabilisce le modalità di accreditamento degli atenei che erogheranno i corsi, ha incassato nei giorni scorsi il via libera dell’Ue e si avvia quindi all’approvazione
Il nuovo sistema di abilitazione degli insegnanti è stato delineato dal decreto legge 36/2022 voluto dall’ex ministro Patrizio Bianchi. Tutto avviene dopo una trattativa lunga quasi un anno con Bruxelles che ha impegnato prima il Governo Draghi e poi l’Esecutivo Meloni in un continuo ping pong tra i ministeri dell’Istruzione e dell’Università che, insieme al cambio di maggioranza, ha reso più tortuoso l’iter dell’attuazione.
La nuova abilitazione degli insegnanti prevede il possesso della laurea più 60 Cfu, di cui almeno dieci di area pedagogica (necessari per la formazione iniziale) e incluso il tirocinio (diretto e indiretto) non inferiore a 20 Cfu. Per salire poi in cattedra servirà un concorso, sono previste “eccezioni” per i precari storici.
Questo sistema coinvolgerà, in prima battuta, 90-100mila aspiranti professori. I primi 30-35mila soggetti da abilitare con le nuove norme Pnrr sono coloro che parteciperanno al concorso riservato previsto dal Dl 36 e ormai imminente, al quale potranno partecipare i precari storici (cioè gli insegnanti che hanno maturato tre anni di servizio negli ultimi cinque) o i docenti che sono in possesso dei 24 crediti formativi universitari (necessari per l’abilitazione secondo la vecchia normativa in vigore fino allo scorso autunno).