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Abilitazione all’estero, arriva la pronuncia dell’Adunanza plenaria

Depositata la prima delle tanto attese sentenze del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria che, dopo l’udienza del 16 novembre scorso, era chiamato a pronunciarsi sulla vexata quaestio del riconoscimento in Italia dei titoli di abilitazione e specializzazione conseguiti all’estero.

La direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005

La direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo, n.206/2007, ha istituito un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in ciascun Paese dell’Unione europea, finalizzato a consentire ai cittadini europei di accedere a ‘professioni regolamentate’ presso gli altri Stati membri dell’Unione, in condizioni di parità con i cittadini del Paese estero, diverso da quello d’origine, presso il quale si intende esercitare l’attività.

Il mancato riconoscimento di titoli conseguiti in Bulgaria

La decisione dell’Adunanza plenaria trae origine da una controversia tra alcune docenti ed il Ministero dell’istruzione che, ai fini dell’accesso in Italia alla professione di insegnante della scuola pubblica, aveva negato l’idoneità delle qualifiche da loro ottenute in Bulgaria all’esito del corso di formazione professionale post universitario in «scienze pedagogiche, indirizzo professionale pedagogia dell’insegnamento», frequentato dopo avere conseguito in Italia la laurea, quale titolo idoneo all’insegnamento.

Il Ministero aveva respinto le domande di riconoscimento, sul presupposto che non era stato dimostrato l’esercizio della professione di insegnante per almeno un anno.

Le ricorrenti lamentavano tuttavia, che non era stata svolta alcuna verifica in concreto sui livelli di competenza acquisiti sulla base della frequenza del corso professionale svolto all’estero.

La questione sottoposta all’Adunanza plenaria

La VII sezione del Consiglio di Stato, dovendosi pronunciare sulle controversie in questione, ha quindi chiesto all’Adunanza plenaria di chiarire se il Ministero possa «prescindere» dall’attestato rilasciato dalla competente autorità estera e quindi riconoscere il «percorso di formazione» seguito presso il Paese d’origine, sulla base del livello di competenza da esso ricavabile, e quindi «soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta», fatta salva in ogni caso la possibilità imporre «a tal fine specifiche misure compensative»; nonché di chiarire se il «riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile)», anche in mancanza dell’attestato di competenza o del titolo di formazione necessari per l’esercizio nello Stato di origine di una ‘professione regolamentata’, o in sua mancanza di un anno di esperienza professionale.

Il principio di diritto

In esito all’udienza del 16 novembre scorso, l’Adunanza plenaria ha dato risposta positiva ai quesiti sottoposti.

Secondo i Giudici di Palazzo Spada, anche il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in ciascun Paese membro dell’Unione europea, attraverso la verifica amministrativa dei titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, è funzionale alla circolazione in ambito sovranazionale dei lavoratori e dei servizi, e nello specifico all’accesso alle ‘professioni regolamentate’, soggette cioè in base alla legislazione nazionale al possesso di una necessaria qualificazione, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato ospitante.

In tale ottica di favore, deve quindi ritenersi necessaria una verifica in concreto delle competenze professionali comunque acquisite nel Paese d’origine dal richiedente il riconoscimento e della loro idoneità all’accesso alla ‘professione regolamentata’ in quello di destinazione.

Nei procedimenti volti al riconoscimento del titolo conseguito all’estero, il Ministero dell’istruzione dovrà quindi:

esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascun interessato (non dunque a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine);

effettuare «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se gli interessati abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione di misure compensative.

Dino Caudullo

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