“Quello che come forze politiche abbiamo ottenuto dai ministri Bianchi e Messa dopo lunghi incontri è un’apertura verso una formazione iniziale abilitante che sia propedeutica ai concorsi e all’ammissione e alla stabilizzazione dei docenti,” così la deputata di Forza Italia Valentina Aprea nell’ambito dell’assemblea del sindacato Flc Cgil sul reclutamento, la formazione iniziale e i percorsi abilitanti.
“Noi siamo per una formazione iniziale abilitante di tipo pedagogico scientifico – spiega – ma poi il bollino blu dovrà essere il ministro dell’Istruzione a porlo, facendo in modo che nelle selezioni e nell’anno di formazione le competenze pedagogico-didattiche siano ulteriormente rafforzate”.
La deputata fa anche riferimento all’idea del ministro Bianchi di agire sull’orientamento in fase precoce. Entrambi gli aspetti, in realtà, sia l’orientamento che la formazione, dovranno essere precoci.
E in particolare la formazione iniziale dovrebbe contare – secondo la componente della Commissione Cultura e Istruzione alla Camera – su un blocco di competenze forti, pari a 60 crediti, che possano accompagnare la professionalità dei docenti anche sul fronte internazionale, al punto che si possa trovare corrispondenza tra le competenze reali dei docenti e quelle attese.
“La ministra Messa ha chiesto che i 60 crediti siano abilitanti – afferma -. Dal 2022 dobbiamo superare la separazione dei saperi, respingiamo il presupposto che prima esiste la laurea e dopo la formazione specifica. Un discorso che se poteva andare bene nel secolo scorso, non può andare bene ora: occorre un cambio di paradigma. Dal paradigma della separazione dobbiamo andare a quello circolare dell’integrazione”.
Anche Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli) interviene sul tema del reclutamento in vista del Pnrr e si aggancia a quanto detto dalla deputata Aprea circa il cambio di paradigma: “Da noi, almeno nella scuola secondaria, prima si studia la disciplina e poi solo in una seconda fase si studia la metodologia didattica e la pratica del tirocinio,” ma è un modello sequenziale che andrebbe sostituito con un modello parallelo, afferma Andrea Gavosto e spiega: “Io studio la disciplina e intanto entro nelle aule per verificare se sono portato per il mestiere dell’insegnante,” questo sarebbe il modello efficace su cui muoversi, per essere certi che i futuri insegnanti possano scoprire in tempo la propria vocazione o al contrario la propria mancanza di vocazione.
E aggiunge: “Quello che i docenti dichiarano è che si sentono particolarmente formati sul disciplinare, ma sul fronte della didattica d’aula i docenti non si sentono sufficientemente preparati”.
Ecco perché, secondo il presidente della Fondazione Agnelli, bisognerebbe partire dalla formazione iniziale, come primo tassello della riforma: “Se osserviamo il sistema di assunzione e formazione iniziale in Italia, rispetto agli altri Paesi, vediamo che in Italia non vi è nessuna verifica delle competenze didattiche dei docenti neoassunti e vi è un continuo ingresso nel sistema di docenti non abilitati. Peraltro l’esaurimento del doppio canale porta ad avere numeri enormi di cattedre non coperte ma nel contempo anche un alto numero di precari: un mismatch sia geografico che disciplinare,” avverte Andrea Gavosto.
“La formazione iniziale è davvero delicata, sostiene il presidente della Fondazione Agnelli. Se garantiamo che la scuola attrae i migliori laureati nei vari campi, ecco che la qualità dell’Istruzione cresce, la partita va giocata sulla riforma della formazione iniziale“.
“In media – fa notare – nei Paesi europei sono richiesti più di 50 Cfu sulla preparazione professionale teorica e pratica, per potere insegnare; noi con 24 Cfu (che sappiamo non contenere una parte di tirocinio pratico) siamo molto indietro.”
“Nessuno nasce sapendo insegnare, è un aspetto tecnico che va imparato. In Italia la percentuale di ore nei tirocini è molto modesta, su un ammontare complessivo di ore molto alto”.
In altre parole – spiega – “bisogna distinguere tra il momento dell’abilitazione (requisiti che la collettività chiede ai docenti per entrare in aula) e l’assunzione vera e propria che abbina le competenze dei docenti con le esigenze della scuola”.
“La formazione iniziale è più importante dell’assunzione,” conclude.
“Per come la vedo io, le strade nella scuola secondaria sono due: una è la laurea abilitante con il periodo di prova successivo; un’altra strada è la commissione permanente di abilitazione, un esame di abilitazione con valutazione a sportello, tarata sulle competenze didattiche, disciplinari e pratiche dell’insegnamento”.
“I tirocini richiedono dei tutor. Il tirocinio non è un’esperienza solo professionale perché comporta uno sforzo organizzativo per disporre dei tutor che mi dicano dove sto sbagliando. Le università sono in grado di fornire questo tutoraggio?”
“Nel caso delle lauree magistrali bisognerebbe creare dei percorsi dedicati all’insegnamento, devo garantire dei Cfu caratterizzanti. Se l’università non fosse in grado di garantire una laurea o un master abilitante, l’alternativa potrebbe essere quello di rovesciare il rapporto. Il ministero fissa la tappa finale, decide quali sono i criteri per l’abilitazione, propone una selezione severa, con test attitudinali e altro; e poi le università adatteranno la loro offerta formativa per permettere ai candidati di superare la soglia proposta dal ministero”.
Per non parlare della retribuzione degli insegnanti. In Germania gli stipendi sono più elevati, ma è anche vero – argomenta Andrea Gavosto – “che chi vuole diventare insegnante ha una laurea triennale, una magistrale che introduce elementi di didattica, e poi affronta un primo esame di Stato e un secondo esame di Stato, che ti dà accesso alla professione”.
Concorsi? “Occorrerebbe un reclutamento aperto da parte delle scuole e degli enti locali. Un concorso è aperto a tutti, sì, ma i concorsi vengono fatti raramente e c’è un tema sulla qualità delle commissioni. Una volta che avessimo un livello di abilitazione pervasivo e di qualità elevata, potremmo pensare anche a diversi metodi di ingresso come il concorso a livello di scuola: la scuola mette a bando le cattedre di cui ha bisogno per evitare il mismatch di cui abbiamo parlato. E anche qui bisogna porre il tema della selezione dei dirigenti scolastici”.
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