Dopo la sentenza depositata il 28 dicembre sui titoli professionali conseguiti in Bulgaria, il giorno successivo, il 29 dicembre, sono state depositate anche le altre attese pronunce sui titoli rumeni.
Sono numerosissimi infatti i docenti che hanno conseguito in Romania il titolo di abilitazione all’insegnamento o di specializzazione su sostegno e sono in attesa del riconoscimento da parte del Ministero dell’Istruzione o, in seguito al diniego già espresso, hanno pendente un giudizio innanzi al Giudice amministrativo.
Nel caso deciso dall’Adunanza plenaria, una docente aveva conseguito in Romania un titolo di formazione professionale – denominato “Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II” – relativo al ciclo di studi post-secondari ai fini dell’esercizio della professione di docente in Romania.
Per il Ministero dell’Istruzione il titolo in questione non era riconoscibile nel nostro ordinamento in quanto, presupposto necessario al fine di ottenere il riconoscimento professionale dei titoli sarebbe consistito nel possedere una qualifica professionale che, in base alle norme del Paese ove è stata conseguita, consenta l’esercizio della professione di docente abilitato all’insegnamento.
In particolare il titolo non era ritenuto riconoscibile in Italia in quanto il Ministero rumeno non riconosceva la formazione svolta da cittadini italiani, sostenendo che per un cittadino italiano che, una volta laureato, voglia abilitarsi all’insegnamento in Romania, non sarebbe sufficiente l’avere conseguito corsi di formazione psico-pedagogica (i c.d. “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”), risultando necessario l’avere svolto gli studi universitari in detto Paese.
In sintesi, il corso formativo rumeno che si vorrebbe passare per abilitante, in realtà non avrebbe questo effetto, perché in Romania non esistono corsi abilitativi al di fuori della laurea (rumena).
A fronte dell’accoglimento del ricorso da parte del Tar Lazio, il Ministero proponeva appello al Consiglio di Stato, la cui settima sezione rimetteva tuttavia la questione all’Adunanza plenaria, ponendo i seguenti quesiti:
a) se sia necessario riconoscere in modo sostanzialmente automatico in Italia un percorso di formazione seguito da un cittadino dell’UE presso altro Paese membro dell’UE (nel caso in esame, in Romania), soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta (e fatta salva la possibilità per le autorità italiane di disporre a tal fine specifiche misure compensative);
b) se tale riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile) laddove:
– nel Paese membro di origine (nel caso specifico in Romania -) il completamento di tale percorso formativo non assume di per sé carattere abilitante ai fini dell’accesso all’insegnamento, ma presuppone altresì in via necessaria che l’interessato abbia conseguito nel Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) sia studi di istruzione superiore o post-secondaria, sia studi universitari;
– all’esito di tale percorso di formazione le Autorità del Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) non abbiano rilasciato un attestato di competenza o un titolo di formazione ai sensi dell’articolo 13, par. 1 della Direttiva 2005/36/CE.
Secondo l’Adunanza Plenaria, dalle dichiarazioni rese dalle Autorità amministrative rumene emerge un quadro ben diverso rispetto a quello prospettato dal Ministero italiano.
Difatti, e contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero di viale Trastevere, risulta che in Romania:
– una laurea conseguita in Italia, e riconosciuta equivalente in Romania, sia un titolo che consente la frequenza dei percorsi di formazione degli insegnanti ed il conseguimento dei relativi titoli;
– a seguito di tale riconoscimento, del conseguimento del Nivel I e Nivel II e del rilascio del certificato Adeverinta, vi è la possibilità di insegnare.
Se, dunque, il titolo di cui si discute consente l’insegnamento in Romania, non vi sarebbe ragione per ritenerlo non riconoscibile in Italia ai sensi della Direttiva 2005/36/CE.
Da ciò i Giudici di Palazzo Spada hanno quindi enunciato il seguente principio di diritto “spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE”.
Piena soddisfazione ha espresso l’avv. Anna Chiara Vimborsati che segue da anni le vicende di molti docenti abilitati all’estero.
Per mezzo delle sentenze emesse in data 29 dicembre 2022 e aderendo alla nostra tesi – ha dichiarato l’avv. Vimborsati – l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che le certificazioni relative ai titoli rumeni conseguiti dai cittadini laureati in altri Stati dell’UE vanno qualificati come ‘titoli assimilati’ ai sensi dell’art. 12 della Direttiva 2005/36/CE, per il quale «è assimilato a un titolo di formazione di cui all’articolo 11, anche per quanto riguarda il livello, ogni titolo di formazione o insieme di titoli di formazione rilasciato da un’autorità competente di uno Stato membro che sancisce il completamento con successo di una formazione acquisita nell’Unione, a tempo pieno o parziale, nell’ambito o al di fuori di programmi formali, che è riconosciuta da tale Stato membro come di livello equivalente, e che conferisce al titolare gli stessi diritti di accesso o di esercizio a una professione o prepara al relativo esercizio».
Quindi, prosegue l’avv. Vimborsati, il Ministero dell’Istruzione e del Merito deve ritenersi obbligato “a valutare i titoli conseguiti in Romania nell’ambito di un procedimento amministrativo idoneo a verificare le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE, sostanzialmente riaffermando gli obblighi conformativi dell’attività amministrativa svolta ai sensi del D. Lgs. 206/2007 già enucleati dallo stesso Consiglio di Stato sin dal 2020 a garanzia della primazia del diritto comunitario”.
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