Quanto accaduto in Francia a seguito dell’abolizione di indumenti riconducibili al mondo islamico nelle scuole ha prodotto numerose polemiche contro l’inarrestabile processo sia di secolarizzazione dell’istruzione sia equo e privo di componenti etniche discriminanti. In Egitto ed in ulteriori realtà del Nord Africa il processo sembra analogo: l’Egitto ancora adotta le ambiziose e complesse riforme al sistema scolastico proprie di Nasser; il primo ed embrionale fine di queste fu la promozione della laicità per una società comune sviscerata da forzature ed elementi identitari riconducibili alla fede.
Una popolazione studentesca dall’aspetto omogeneo in aula. Le recenti disposizioni del Ministero dell’Istruzione Egiziano presentano tale fine: l’eliminazione di quelle discrepanze e differenze che potrebbero dar luogo, specie in società multietniche e multireligiose, a scontri, episodi di violenza e discriminazione anche a carico di giovani e giovanissimi. Il Ministero, almeno al momento, ha tenuto a precisare che tali disposizioni entreranno in vigore a livello puramente graduale, con il fine di favorire la naturale adozione delle misure in oggetto da parte degli studenti ed ovviare forzature controproducenti.
Il Ministero dell’Istruzione egiziano ha vietato l’uso del velo integrale nelle scuole pubbliche e statali aggregate, una decisione che martedì ha scatenato il dibattito sui social network in uno dei paesi a maggioranza araba più popolosi del Mediterraneo (109 milioni di abitanti). Lunedì 11 settembre il quotidiano governativo Akhbar al-Youm ha pubblicato il nuovo decreto sulle uniformi scolastiche, che vieta agli alunni delle scuole primarie e secondarie di “coprirsi il volto”.
Il decreto precisa che il velo è “facoltativo”, dipende “dalla volontà dell’alunno, senza pressioni o coercizioni da parte di soggetti diversi dal tutore legale, che deve essere informato di tale scelta”. Mentre la maggioranza delle donne egiziane indossa il velo, il niqab rimane una minoranza in questo paese a stragrande maggioranza musulmano. “La gente è arrabbiata perché il governo non ha dato alcuna giustificazione, è una decisione tirannica che invade la privacy”, ha reagito Mohammed, uno studente locale, su X (ex Twitter). In Italia, per fini di pubblica sicurezza, risulta proibito circolare in ambienti comuni con velo che rende complesso – se non impossibile – il riconoscimento, specie a scuola. Alcuni comuni del Settentrione lo hanno proibito con disposizioni interne, causando notevoli frizioni tra la popolazione locale e la comunità musulmana che vi abita.
“Nessuno è arrabbiato, tranne i sostenitori dei talebani e dello Stato islamico (EI)”, ha ribattuto il premier al-Masri sulla stessa rete. Ahmed Moussa, un noto conduttore di talk show e fervente sostenitore del regime di Abdel Fattah al-Sissi, ha salutato tale iniziativa come “un primo passo importante verso la distruzione dell’estremismo e la correzione degli effetti di quest’ultimo sull’istruzione pubblica, che è divenuto un fertile e sicuro nascondiglio per i gruppi terroristici affiliati ai Fratelli Musulmani”. Per gli utenti dei blog vari di attualità, però, il problema dell’istruzione in un Paese di 105 milioni di abitanti schiacciato dall’inflazione e dal debito pubblico è un altro, e non è riconducibile alla misura tanto discussa.
“Il niqab è responsabile del sovraffollamento delle aule, delle attrezzature fatiscenti e delle difficoltà degli insegnanti?”, commentano gli utenti più influenti. Alla fine del 2015, l’Università del Cairo, uno degli Atenei più antichi e prestigiosi del paese mediterraneo, ha vietato alle sue docenti di indossare il niqab, misura confermata nel 2020 da un tribunale amministrativo de Il Cairo attraverso un provvedimento aggiuntivo.
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