Scuole e porti aperti per una società prospera, civile e sicura
Questo è il titolo di una lettera promossa da insegnanti dei CPIA di Torino e diffusa a livello nazionale sugli effetti nefasti del “decreto sicurezza”
Queste affermazioni penso siano condivisibili non solo in riferimento ai CPIA, ma alla scuola italiana in genere, che nel corso degli ultimi decenni ha visto una costante e drammatica riduzione delle risorse, insieme a un turbinoso cambiamento della normativa, realizzato non sulla base di evidenze scientifiche, ma riferendosi a costrutti ideologici estranei alla ricerca di soluzioni adeguate ad affrontare i vistosi problemi in termini di risultati nelle rilevazioni internazionali e di dispersione scolastica.
Ideologie basate sul presupposto che il libero mercato e la competitività siano la panacea di tutti i mali, ignorando il fatto che il mondo non consiste solo di relazioni economiche e che l’istruzione e l’educazione non possono essere concepite come uno scambio di merci.
Ora il tema dominante sembra essere la sicurezza e senza dubbio è una questione che sta a cuore a chiunque, ma i governanti che più parlano di sicurezza pare che agiscano in senso diametralmente opposto all’obiettivo dichiarato: una società sicura è infatti quella in cui le scuole e i Servizi Sociali ed educativi funzionano nel migliore dei modi per prevenire forme di devianza criminale, ma sotto questo punto di vista assistiamo da anni al degrado di questo tipo di servizi.
Si prospetta l’assunzione di insegnanti senza preparazione, abolendo la formazione iniziale e il tirocinio, che si aggiunge all’assunzione di assistenti sociali con contratti a tempo determinato brevissimo, laddove servirebbero invece progetti a lungo termine, e alla scarsa presenza di educatori sul territorio rispetto alle necessità.
Si preferisce affidarsi all’idea che la sicurezza si ottenga con la repressione, in particolare con la repressione dei più deboli, impedendo a emigranti disperati di sbarcare, chiudendo le esperienze migliori di integrazione, sgomberando luoghi di ricovero senza offrire alternative, mettendo sulla strada disperati costretti a delinquere per sopravvivere.
L’impressione è che più che intervenire sulla sicurezza si agisca a scopo di propaganda e contro coloro che hanno idee politiche avverse rispetto a quelle presenti al governo, come nel caso dello sgombero dei centri sociali.
In tutti i casi agli sgomberati non viene offerta un’alternativa, un dialogo, una prospettiva di costruzione positiva di un rapporto con le istituzioni che possa migliorare la situazione loro e di coloro che hanno patito i disagi per la loro presenza.
Si va così verso la realizzazione di una società basata sulla repressione e sulla violenza, senza rendersi conto (?) che tutto questo non può che portare minore sicurezza e riduzioni delle libertà per tutti.
Quello che è successo a Torino è emblematico: lo sgombero con la forza di un centro sociale anarchico da parte delle Forze dell’Ordine ha provocato reazioni violente da parte dei gruppi più aggressivi -con relativo stato d’assedio di un quartiere della città per una settimana e danni rilevanti ai commercianti per le mancate vendite- e la solidarietà di tanti altri gruppi e persone che nulla hanno in comune con i metodi violenti, ma che hanno visto nella violenza istituzionale un attacco alla democrazia, che a loro volta sono stati trattati come pericolosi terroristi, impedendogli di manifestare pacificamente il loro dissenso.
Forse il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato andrebbe gestito con maggiore saggezza, allo scopo di ridurre il livello di violenza nel contesto sociale e di difendere i più deboli dalla prepotenza dei più forti.
Nella trasmissione Popolo Sovrano, che ha esordito su Rai 2 il 14 febbraio, abbiamo visto come luoghi di rifugio per disperati senza reddito e senza dimora vengono sgomberati provocando la fuga e la dispersione sul territorio di persone inermi, mentre zone dominate da clan rimangono inaccessibili ai giornalisti così come a ogni forma di legalità. Il giornalista Daniele Piervincenzi è stato aggredito a Pescara così come era avvenuto ad Ostia.
Per quanto riguarda la scuola un colpo fondamentale lo assesta la Ministra Gelmini nel 2008-2009, provocando danni enormi attraverso la sottrazione di enormi quantità di risorse, riducendo il personale scolastico e distruggendo la formazione iniziale degli insegnanti.
Le SIS, che in Italia erano state per la prima volta un luogo dove apprendere il mestiere dell’insegnante (seppur con tutti i limiti che avrebbero richiesto interventi di modifica) vengono abolite e per anni non vengono messe in atto altre modalità per la formazione iniziale dei docenti.
In particolare per cinque anni consecutivi non si attivano corsi di specializzazione per il sostegno.
Dopo alcuni anni partono i TFA: percorsi annuali di formazione per acquisire l’abilitazione necessaria all’insegnamento nella scuola secondaria.
Arriva poi la legge 107/2015 di Renzi, la quale mette in atto quella parte della riforma Gelmini che non era ancora stata realizzata e introduce nella scuola forme di competitività che nulla hanno a che vedere con le caratteristiche di una scuola di qualità.
Nell’ambito di questa riforma si prevede il percorso FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio), che rende oltremodo lunga e complessa la formazione per diventare insegnanti (tre anni) e che determina la formazione separata degli insegnanti curricolari e degli insegnanti di sostegno, rischiando di emarginare ulteriormente quella figura di insegnante che avrebbe invece avuto bisogno di interventi per favorire la sua piena inclusione nel corpo docenti, al fine di favorire l’inclusione degli allievi con disabilità.
Ora il governo giallo-verde interviene di nuovo pesantemente, abolendo la formazione iniziale, facendoci così tornare indietro di decenni, ai tempi in cui era sufficiente una laurea per poter fare l’insegnante, ignorando il fatto che insegnare è uno dei mestieri più difficili, visto che si tratta di aiutare bambini e adolescenti a crescere.
Si rischia così di introdurre nelle scuole insegnanti totalmente inesperti, che di nuovo si formeranno per prove ed errori a spese degli allievi, della qualità della scuola e della propria salute: non è raro vedere insegnanti senza una formazione in ambito psico-pedagogico uscire piangendo da classi particolarmente problematiche.
Si vogliono introdurre le telecamere a scuola senza rendersi conto che la sicurezza dei bambini e la qualità dell’insegnamento non hanno bisogno di controlli opprimenti, ma passano inderogabilmente da una formazione iniziale adeguata degli insegnanti, che preveda anche un periodo di tirocinio.
Un FIT di due anni, con un primo anno di formazione e tirocinio ed un secondo anno di prova (che esiste da sempre) sarebbe la soluzione più ragionevole e avrebbe il vantaggio della gratuità, a fronte del pagamento del costo di un master com’era per il vecchio TFA.
Occorrono meno sgomberi, più servizi educativi e più scuola di qualità, che si può raggiungere solo se c’è una buona formazione iniziale e in itinere degli insegnanti che riesca a contribuire alla prevenzione del disagio e della devianza minorile, altrimenti da queste classi usciranno migliaia di futuri delinquenti che renderanno molto meno sicuro il nostro paese.
E a proposito di sud, sicurezza e qualità della scuola il Ministro Bussetti e il Ministro Salvini forse potrebbero trovare degli spunti molto interessanti nelle esperienze di Napoli, dove i centri sociali sono stati valorizzati per la loro azione di contrasto alle illegalità, invece che repressi e sgomberati; dove gli interventi educativi, affiancati a quelli delle Forze dell’Ordine, hanno determinato un cambiamento nelle condizioni di vita a Scampia; dove le esperienze dei Maestri di Strada aiutano tanti bambini e adolescenti ad uscire da un destino di devianza e di degrado.
Così come potrebbero trovare spunti dall’esperienza del processo simulato nelle scuole calabresi dove si aiutano gli adolescenti a comprendere meglio le conseguenze delle loro azioni e ad avere fiducia verso le istituzioni e da tante altre esperienze d’eccellenza in tutta Italia, dove insegnanti e operatori pieni di passione si impegnano per migliorare contesti sociali fortemente degradati.
Tutte esperienze in cui lo Stato non si pone di fronte ai giovani come nemico impegnato solo in azioni di repressione, ma propone le Forze dell’Ordine, insieme a a scuola e Servizi Sociali ed educativi, come amici indispensabili per costruire un contesto sociale fondato su rispetto reciproco e libertà, per il “pieno sviluppo della persona umana”.
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