Abolire la scuola media? Occorre ridare dignità e prestigio ai docenti

Tema intrigante, accattivante, malizioso che compie un’analisi spietata del segmento intermedio tra la scuola primaria e la scuola secondaria di secondo grado. Stiamo parlando della scuola media che – secondo Cornoldi dovrebbe essere abolita e sostituita da un ciclo unico di otto anni.

A questo progetto ci aveva pensato l’allora Ministro del MIUR, Luigi Berlinguer, il quale con la legge n.30 del 2000 aveva ipotizzato il ciclo unico della scuola di base.

Da sempre la scuola media è considerata la cenerentola del sistema scolastico italiano, ma andare a proporre una nuova miniriforma sembra davvero cervellotico. La scuola media italiana produce l’incapacità di creare un vero rapporto personalizzato tra docente e alunno, rapporto empatico che si stabilizza solo con gli insegnanti che hanno più ore rispetto agli altri. La scuola media italiana ha parcellizzato il sapere rendendolo minimo ed enciclopedico. Non è ammissibile che un ragazzo dagli undici ai quattordici anni debba possedere un sapere enciclopedico, quanto basta per raggiungere la sufficienza in tutte le discipline.

La riforma del 1979 prevedeva solo otto materie che nel 2003 sono diventate 11. Nei diversi ambiti di studio l’alunno deve essere motivato e accade sovente che la demotivazione sia uno degli elementi preponderanti del processo valutativo e molti insegnanti svolgono un lavoro di “trincea” andandosi spesso a scontrarsi con la durissima realtà soprattutto con alunni che non hanno contezza e voglia di imparare perché provengono da un tessuto sociale deprivato. E qui c’è bisogno di una fortissima iniezione di motivazione. Tuttavia la motivazione del docente viene meno perché subentra la sfiducia e lo scoraggiamento per la sua considerazione e il prestigio sociale che ne deriva, accompagnato alla frustrazione per una retribuzione bassa.

La colpa è da attribuirsi alla società ed ai genitori che non assegnano la giusta importanza alla scuola e riempiono di aspettative esagerate i loro figli attribuendo la colpa solo ai docenti. Comincia la famiglia ad avere fiducia e ridare prestigio al lavoro degli insegnanti e poi si vede come si accresce l’interesse e l’impegno del ragazzo che si vede spronato sia dai genitori e sia dai docenti. La famiglia deve collaborare con i docenti per il successo formativo dei figli. Se non c’è questo collante scuola-famiglia le maggiori agenzie educative hanno fallito la loro missione. L’opinione pubblica ha dunque un atteggiamento disfattista e denigratorio nei riguardi della scuola perché è venuta a mancare la fiducia nei valori, il rispetto, il senso civico.

Oggi, diciamolo chiaramente, al genitore non importa la formazione culturale del figlio e l’acquisizione delle reali competenze ma piuttosto se il figlio a scuola ha preso ottimi voti, perché solo questi ultimi sono ritenuti i parametri del successo futuro dei figli. Se il proprio figlio sa o non sa è del tutto fuorviante, basta che ha preso un bel voto e sic transeat gloria mundi! L’opinione pubblica ritiene che i docenti lavorano poco e vengono pagati troppo e che tutte le cose che si insegnano a scuola sono sciocchezze. Non è vero. I docenti motivati ci mettono anima e corpo per arricchire la formazione di base dei propri alunni.

Il rapporto scuola-famiglia non deve basarsi soltanto sulla rendicontazione dei voti raggiunti e dei comportamenti degli alunni ma deve puntare al coinvolgimento diretto e alla trasmissione di un messaggio che veicoli l’appartenenza congiunta sia della scuola che della famiglia. Un errore madornale nella scuola italiana è stata l’abolizione dell’SSIS (Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondaria) che davano agli insegnanti del domani una preparazione psicopedagogica, che dovrebbero avere anche le nuove leve dei dirigenti. Con la legge della Buona Scuola è venuto a mancare un tassello importante che permette di lavorare in modo sereno e responsabile creando un clima migliore: l’umanità, il rispetto degli altri nei rispettivi ruoli e compiti.

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