Roger Abravanel studioso dei temi dell’istruzione e della meritocrazia, spiega sul Corriere della sera le ragioni dei test “Invalsi”, sempre contestati da alcune associazioni sindacali di insegnanti.
Pur ammettendo i limiti dei test (spesso sono fatti male e misurano solo le capacità cognitive e non le soft skills come comunicare, team work, spirito critico), scrive lo studioso, essi sono un male necessario; lo sono soprattutto da noi , per restituire alla nostra scuola la capacità di certificare obbiettivamente gli apprendimenti degli studenti. Da un sondaggio appare chiaro che 7 studenti su 10 e un italiano su due ritiene che «i voti degli insegnanti rispecchino poco o nulla la reale preparazione degli studenti».
Gli italiani non credono quindi più ai voti, che sono spesso diventati oggetto di una trattativa fra famiglie e docenti. Un problema che viene da lontano: per anni gli italiani hanno pensato che un cattivo voto è un giudizio sulla persona e non sulla sua prestazione (per definizione migliorabile se si accetta).
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Chiariamo anche una volta per tutte che un buon test non è un «quiz», ma cerca di capire se uno studente ha imparato a ragionare con la propria testa. Un test sulla «comprensione dei testi in italiano» segue i principi del «riassunto» che valutava quanto uno studente avesse capito una lettura, ma elabora le risposte in modo da avere una misura obbiettiva.
Nel sondaggio, spiega ancora Abravanel, non credono al processo di «autovalutazione» avviato dalla «buona scuola» e domandano valutazioni esterne ed obbiettive. Dall’altro, latitano nel coinvolgimento personale. Le associazioni dei genitori non sono una cosa seria (spesso sono composte da genitori – docenti, con chiari conflitti di interesse) e la partecipazione ai consigli di istituto è spesso poco efficace.
Il paradosso è che i genitori sono più assenti dove le scuole sono più deboli.
Avanti quindi con i test Invalsi. Anzi, è arrivato il momento di usarli anche per affiancare le prove di maturità che sono poco veritiere del reale merito degli studenti. Se un ministro coraggioso accogliesse la proposta di usarli anche per sostituire i test «fai da te» di molte università e migliorare la selezione all’ingresso e la distribuzione delle borse di studio , aiuterebbe a fare un enorme passo avanti per migliorare la classe dirigente del nostro Paese. E, cosa che non guasta di questi tempi, farebbe anche una mossa politicamente intelligenteI test Invalsi, un «male» necessario. Non si tratta di quiz, ma di strumenti per certificare obbiettivamente gli apprendimenti degli studenti: servono eccome
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