Riceviamo e pubblichiamo un commento a firma dell’avvocato Claudio Solinas, su alcune riflessioni in ordine alla sentenza n. 187/2016 della Corte Costituzionale in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia 26 novembre 2014.
La Consulta si sofferma sulle “situazioni”pregresse e successive all’entrata in vigore della legge 107/2015 e distingue in modo differente la natura e l’efficacia della sanzione per superamento del limite dei 36 mesi – (risarcimento del danno) ovvero (stabilizzazione) – in relazione al succedersi diacronico delle fattispecie.
Per le fattispecie successive dedica il punto 17 il quale riconosce alla Legge 107/2015 il merito di aver introdotto “un termine effettivo di durata dei contratti a tempo determinato, il cui rispetto è garantito dal risarcimento del danno. E questo, configura quella sanzione dissuasiva che la normativa comunitaria ritiene indispensabile.”
In realtà il limite non è stato introdotto dalla legge 107/2015 ma dal decreto legislativo 368/2001 che aveva recepito l’allegato quadro alla direttiva UE 1999/70/CE e successivamente dal decreto legislativo 81/2015.
Detto decreto aveva previsto non solo il risarcimento del danno ma anche la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato per il succedersi di contratti a termine oltre i 36 mesi, conversione che è stata inibita dall’art. 36 del decreto legislativo 165/2001 e dall’art. 29 del decreto legislativo 81.
Dunque la normativa precedente la legge 107/2015 aveva previsto un termine effettivo di durata dei contratti a tempo determinato, il cui rispetto era garantito dalla sanzione del risarcimento del danno, proprio perché il divieto di conversione in caso di superamento della soglia dei 36 mesi, ha quasi sempre orientato la giurisprudenza di merito ad accogliere le richieste di risarcimento dei danni.
E poiché la Corte riconosce in modo inconfutabile che il risarcimento dei danni per superamento del limite dei trentasei mesi per il succedersi dei contratti a termine possiede il carattere della dissuasività che la normativa comunitaria prescrive, per il principio tempus regit actum dovrebbe applicarsi la disciplina vigente al momento della radicazione del giudizio, la sanzione configurabile al caso di specie è quella del risarcimento dei danni.
Per le situazioni pregresse.
La sentenza de qua, che si è pronunciata quasi dopo due anni dalla sentenza della Corte di Giustizia, ha ritenuto che il reclutamento previsto dalla L.107/2015 mediante la stabilizzazione sia una misura più “lungimirante” rispetto a quella del risarcimento per i docenti immessi nelle graduatorie ad esaurimento secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art.1 della citata legge.
L’interpretazione della Consulta ha posto in evidenza che – previa comparazione della normativa anteriore alla L.107/2015 alla normativa europea secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia – lo Stato italiano si è reso responsabile della violazione del diritto dell’ U.E e di conseguenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 comma 1 e 11 della Legge 3 maggio 1999, n.124, nella parte in cui autorizza in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale ATA.
Secondo l’interpretazione della Consulta la normativa italiana, a decorrere dall’entrata in vigore della L.107/2015, è coerente con la normativa dell’ U.E, in quanto la difformità delle due normative è stata cancellata con la previsione della stabilizzazione per i docenti e il risarcimento del danno per il personale A.T.A.
Tuttavia si può porgere all’attenzione dell’interprete la seguente riflessione ovverosia che la stabilizzazione, ma solo dall’entrata in vigore della L.107/2015, rappresenta il più efficace percorso satisfattivo del diritto del lavoratore docente che ambisce all’immissione in ruolo laddove essa venga attuata nell’arco temporale di tre anni (trentasei mesi) dall’ingresso nella graduatoria ad esaurimento – ( ciò si verifica con l’inserimento degli abilitati PAS, TFA, diplomati dell’Istituto magistrale 2001/2002) mentre per tutti i rapporti pregressi come quello relativo alla stabilizzazione attuata dopo numerosi anni, non può essere considerata un ristoro adeguato.
Ed invero, non è chi non vede che anche il legislatore si è orientato nel riconoscere dovuto il risarcimento dei danni per reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi. Infatti il comma 132 dell’art.1, L. 107/2015, ha previsto un fondo nello stato di previsione del MIUR di dieci milioni per ciascun anno 2015 e 2016 in “esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili”.
Di conseguenza il legislatore ha ritenuto, già con la L.107/2015, di doversi adeguare alla normativa U.E, non solo con la previsione di un piano di reclutamento mediante stabilizzazione a decorrere dalla entrata in vigore della medesima legge, ma ha istituito nello stato di previsione del MIUR un fondo di dotazione per i giudizi pendenti e per quelli che si sono conclusi.
Il legislatore ha, dunque, riconosciuto al comma 132 dell’art.1 della L.107/2015 il diritto al risarcimento del danno conseguente alla reiterazione dei contratti a termine per una durata superiore ai trentasei mesi anche non continuativi.
La volontà del legislatore è quella di risarcire tutti i docenti che abbiano proposto ricorso in data antecedente alla legge in esame e che siano in attesa di un provvedimento giurisdizionale, non essendo stata scelta la locuzione “in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali definitivi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni” ma semplicemente in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali.
Non avrebbe alcun senso, anzi si atteggerebbe ad intollerabile ingiustizia il ritenere una interpretazione difforme – per altro contraria al volere del legislatore – rispetto a quanto sinora detto, poiché si assisterebbe all’assurdo che, chi ha ottenuto una pronuncia favorevole di condanna dell’Amministrazione in questi anni ha diritto al risarcimento del danno, chi non l’avesse ancora ottenuta, nella maggior parte dei casi in seguito a rinvii strumentali rispetto alla pronuncia della Consulta, non avrebbe diritto pur avendo proposto il ricorso negli stessi anni e sotto il vigore della medesima disciplina normativa.
Ove poi si consideri che:
a) La Consulta ha proceduto alla comparazione tra la normativa italiana e quella U.E al fine di verificare se la normativa nazionale possedesse i caratteri della dissuasività, proporzionalità, effettività della sanzione da erogarsi nel caso in cui venga integrata la violazione della Direttiva Europea, non nel momento della radicazione del giudizio presso la Corte di Giustizia 17.01.2013, ma successivamente all’entrata in vigore della L.107/2015.
b) Quest’ultima legge rivela in maniera davvero lampante che sino alla sua entrata in vigore, luglio 2015, il sistema di reclutamento per supplenze sino al termine delle attività didattiche, operato dal MIUR per il tramite degli Uffici Scolastici Provinciali e delle scuole Statali, era del tutto illegittimo perché in contrasto con l’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE;
c) Infatti, l’art.1 comma 131 stabilisce un tetto massimo di durata complessiva dei contratti di lavoro a termine, che non possono varcare il limite dei trentasei mesi anche non continuativi.
d) Il giudizio di illegittimità sul reclutamento per supplenze si rafforza mediante la previsione del comma 132 dell’art.1 della L.107/2015 che prevede un fondo specifico di dieci milioni di Euro per l’anno solare 2015 e 2016 in relazione alla necessità di dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione dei contratti a termine superiori ai trentasei mesi.
e) Quest’ultimo comma n. 132 della L.107/2015, differentemente dall’interpretazione data dalla Consulta nella sentenza n.187/2016 che ne limita l’applicazione al personale ATA – punto 18.2. della sentenza, “Per il personale ATA, invece, non è previsto alcun piano straordinario di assunzione e pertanto nei suoi confronti deve trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento del danno, misura del resto prevista – lo si è più volte ricordato – dal comma 132 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015, che quindi anche per questo aspetto deve ritenersi in linea con la normativa comunitaria” – contempla, come misura sanzionatoria al superamento del limite dei trantasei mesi, il risarcimento del danno non solo per il personale ATA ma anche per il personale docente.
f) L’interpretazione letterale e logico sistematica dei commi 131 e 132 della L.107/2015 che non fa distinzioni tra tipologie di personale “ATA o Docente” sia nel comma 131 che nel comma 132, consente di affermare senza dubbio alcuno che il rimedio del risarcimento del danno è stato previsto dal legislatore, è tutt’ora vigente, in tutte quelle fattispecie in cui si sia varcata la soglia dei trentasei mesi.
g) A detta conclusione si perviene comunque anche avuto riguardo alla normativa antecedente la L.107/2015 che, inibendo la conversione del rapporto di lavoro in forza dell’art.36 Dlgs 165/2001 prevedeva il rimedio del risarcimento del danno per la violazione del limite dei trantasei mesi.
h) Il maxi-reclutamento previsto dalla L.107/2015 non presenta i caratteri della dissuasività ed effettività richiesti dalla sentenza della CGUE al punto 116 e 117 non solo perchè la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per l’effetto dell’avanzamento in graduatoria è una possibilità incerta e variabile ma anche perché esattamente dieci anni fa l’art. 1 comma 605 lettera c) della L. 296/06 prevedeva la definizione di un piano triennale per l’assunzione di centocinquantamila –150.000– unità di personale docente a tempo indeterminato, per gli anni 2007 e 2009, nell’ottica di fronteggiare il problema del precariato.
i) L’Amministrazione scolastica non ha provveduto al reclutamento secondo il piano, il precariato scolastico si è aggravato nel corso degli anni e l’Amministrazione ha continuato ad assumere personale docente dalle graduatorie permanenti ora ad esaurimento, al fine di soddisfare non esigenze provvisorie ma carenze permanenti e strutturali.
l) Ritenere che il reclutamento previsto dalla L.107/2015 mediante la stabilizzazione sia “scelta più lungimirante” rispetto a quella del risarcimento non persuade in quanto il piano previsto dieci anni fa aveva identiche ambizioni che non si sono realizzate.
m) La vera misura dissuasiva è quella risarcitoria prevista dalla L.107/2015 e prima ancora dall’art.36 del D.lgs 165/2001.
Per tutte le considerazioni di cui sopra:
prevale il principio contenuto nel comma 131 dell’art.1, Legge 107/2015 e già previsto dalla normativa antecedente, che disciplina tutti i contratti del comparto Scuola – personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali – e che prevede a decorrere dal primo settembre 2016 un tetto massimo di durata complessiva dei contratti di lavoro a termine, che non possono varcare il limite dei trentasei mesi anche non continuativi; e il principio contenuto nel successivo comma 132 che ha istituito nello stato di previsione del MIUR un fondo di dotazione di dieci milioni di Euro per ciascun anno 2015 e 2016 per i giudizi pendenti e per quelli che si sono conclusi.
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