Con l’approvazione della Legge 107/15, la Commissione europea avrebbe chiuso l’infrazione aperta dal 2010 per l’abuso di precariato nella scuola.
A darne notizia sono fonti istituzionali provenienti direttamente da Bruxelles: ebbene, tra le diverse procedure chiuse dalla Commissione Ue, il 19 novembre, figura pure quella sui precari del settore scolastico: “grazie alla riforma della ‘Buona scuola’ che impedisce agli insegnanti di oltrepassare i 36 mesi di precariato”, il Parlamento europeo sembra voler così mettere la parola fine ad una vicenda su cui lo scorso 26 novembre si è espressa anche la Corte di Giustizia di Lussemburgo.
E non sarebbe l’unica infrazione su cui viene messa la parola fine. “Con la chiusura di quella sui precari della scuola più altre sei tra trasporti, fiscalità e ambiente, l’Italia riduce da 97 a 90 il numero di procedure d’infrazione aperte, una cifra ‘minima’ quasi ‘record’ per il Paese. E, se verranno recepite per tempo 18 direttive Ue in scadenza a gennaio la tendenza positiva potrebbe ulteriormente rafforzarsi portando l’Italia quasi al livello di altri Paesi come Francia e Germania, che veleggiano rispettivamente tra le 80 e 75”, spiega ancora il comunicato quasi entusiastico giunto dalla capitale del parlamento europeo.
Ma se a Bruxelles dichiarano chiusa la pratica, in Italia le cose sembrano andare diversamente. Prima di tutto perché a maggio la Corte Costituzionale italiana sarà chiamata ad esprimersi sul quesito posto dalla curia europea lo scorso autunno relativo alla legittimità del comportamento dei governi italiani degli ultimi quindici anni. I quali, sebbene una direttiva Ue – la 1999/70/CE – indicasse esattamente il contrario, hanno spesso sistematicamente assunto e licenziato gli stessi precari per decenni.
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E’ finita? Macchè, perchè sempre in Italia permangono almeno 100mila precari abilitati (Tfa, Pas, Scienze della formazione primaria) nelle graduatorie d’istituto, la gran parte di quali con oltre tre anni di servizio alle spalle. Di cui però proprio la Legge 107/2015 ha ignorato la presenze. Per loro, quindi, non si dovrebbe aprire nessuna porta che conduce all’assunzione. Quella che invece è stata accordata a circa 87mila precari della GeE o vincitori di concorso pubblico immessi in ruolo proprio grazie alla Buona Scuola.
Tanto è vero che attraverso i sindacati – stavolta l’Anief si è trovata in buona compagnia, addirittura con tutti i Confederali e anche le altre organizzazioni rappresentative che siedono ai tavoli – diverse migliaia di questi precari si sono rivolti ai giudici. Poi ci sono almeno 50mila docenti “residui” delle GaE, oltre la metà appartenenti alla scuola dell’Infanzia, e migliaia di assistenti amministrativi e tecnici e pure collaboratori scolastici, anche loro in larga parte con oltre 36 mesi di servizio svolto, che vivono lo stesso stato d’animo: quello di chi non è stato contemplato dalla riforma Renzi-Giannini.
Infine, c’è la “grana” dei diplomati magistrali, circa 70mila docenti che hanno acquisito il titolo prima del 2002: i giudici hanno emesso pareri alterni, con una sentenza del Consiglio di Stato di pochi giorni fa che potrebbe spostare l’ago della bilancia a favore dei ricorrenti. “Ma solo per loro, il parere dei giudici non vale per tutti i diplomati magistrali”, ha puntalizzato il sottosegretario Angela d’Onghia, poiché le sentenze non possono essere estensive.
Così, altri precari faranno ricorso, anche costoro er puntare dritto all’inserimento nelle Graduatorie ad esaurimento e alla sospirata immissione in ruolo. Come una tela di Penolepe. Però per la Commissione europea la pratica è chiusa…
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