Un momento tragico e allo stesso tempo decisivo della seconda guerra mondiale: dopo aver sganciato tre giorni prima un prima bomba sulla città di Hiroshima, pochi minuti dopo le 11:00 del 9 agosto 1945 il B-29 BOCKSCAR scelto per la missione sganciava la bomba “Fat Man”, contenente 6,4 kg di Plutonio-239 sulla città di Nagasaki. In pochi ricordano però che il bersaglio scelto dagli americani era originariamente la città di Kokura che venne però “protetta” da un folto strato di nubi. A corto di carburante, il comandante del bombardiere americano decise di dirigersi verso Nagasaki, anch’essa però parzialmente coperta dalle nubi. Con il rischio di dover ammarare sulla via del ritorno, l’equipaggio si vide costretto a sganciare l’ordigno nonostante la poca visibilità: un errore nella corretta valutazione del punto di impatto, stimato con il radar, salvò così migliaia di vite. La bomba esplose infatti nella valle di Urakami a quasi 4 km dal punto previsto, dove al contrario, la strage sarebbe stata ancora peggiore.
Le stime parlano comunque di 40.000 morti all’istante (su una popolazione di 400.000 persone) e altri 40.000 nei mesi successivi. La scelta di utilizzare non una, bensì due bombe nucleari, peraltro su obiettivi prevalentemente civili e non esclusivamente militari, ha suscitato aspri dibatti che continuano ancora oggi e che non sono certo di facile risoluzione.
È certo che l’utilizzo di queste armi terribili segnò un punto di non ritorno, che ha poi caratterizzato gli anni successivi e che oggi è nuovamente, purtroppo, sulla bocca di tutti. Va ricordato che le due bombe sganciate sul Giappone sono state solo le prime di una lunghissima serie: Hiroshima e Nagasaki rimangono (speriamo per sempre) gli unici esempi di bombe atomiche utilizzate per scopi militari, ma la necessità di sviluppare questi armamenti, legata all’ignoranza sugli effetti devastanti delle radiazioni sprigionate, ha fatto sì che le potenze nucleari abbiano svolto numerosi test in mare e in terra, prima di passare a quelli solo leggermente più sicuri nel sottosuolo.
Tra il 1946 e il 1958 gli Stati Uniti hanno infatti eseguito 67 test nucleari in diversi atolli del Pacifico, dove oggi, sembrano confermare gli studi, i livelli di isotopi radioattivi (come il cesio-137) e raggi gamma rimangono pericolosamente alti. Poco o nulla si sa invece delle conseguenze (certamente non piacevoli per persone e ambiente) dei test sovietici effettuati in un poligono di tiro nucleare situato nell’attuale Kazakistan, dove tra il 1949 e il 1963 sono stati effettuati 110 esplosioni in superficie.
A questi vanno poi aggiunti quelli effettuati dalle altre potenze nucleari: Gran Bretagna, Francia, Cina, Pakistan, Israele, Corea del Nord e India e il fatto che con l’avvento delle bombe a idrogeno nel corso della guerra fredda si è arrivati a sviluppare armi che potrebbero sprigionare una potenza mille volte superiore a quella dei due ordigni sganciati durante la seconda guerra mondiale.
Come dire: le armi nucleari oggi possono rimanere un deterrente o possono segnare la fine del genere umano. A noi la scelta.
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