Il 7 ottobre del 1571 si svolse una delle battaglie navali più famose e sanguinarie mai combattute nel Mediterraneo. La battaglia di Lepanto, nell’ambito della guerra di Cipro vide opporsi la flotta dell’Impero ottomano e quella della Lega Santa, la coalizione voluta da Papa Pio V, costituita in gran parte da navi veneziane e spagnole.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria cristiana che distrusse o catturò più di 150 navi nemiche, uccise circa 30.000 soldati, liberando al contempo 15.000 schiavi cristiani che erano incatenati alle navi ottomane come rematori. Per quanto la Lega Santa non seppe trarre tutti i vantaggi possibili da questa clamorosa vittoria, Lepanto entrò nell’immaginario collettivo come un momento decisivo del lungo scontro che aveva e avrebbe ancora per molti anni visto opporsi cristiani e musulmani. Divenne un simbolo della superiorità occidentale sul mondo arabo.
Come sempre questa immagine è frutto di un’attenta e premeditata opera di propaganda e semplificava una quadro molto più complesso. Tuttavia è anche vero che questa battaglia venne effettivamente decisa da un’innovazione tecnologica. Anche se le ragioni di una vittoria sono sempre molteplici, va detto che quel giorno furono utilizzate per la prima volte delle imbarcazioni veneziane che si rivelarono micidiali: le galeazze.
Se il grosso di entrambe le flotte era costituito dalle galee, navi da guerra veloci che imbarcavano in gran parte soldati e dovevano principalmente speronare le navi nemiche per permettere ai soldati a bordo di arrembare e combattere come su un campo di battaglia, i veneziani decisero di schierare 6 navi che introducevano un concetto di guerra navale inedito.
Le galeazze erano grosse navi mercantili molto lente e poco manovrabili, normalmente utilizzate per il trasporto di cavalli o merci. Sei galeazze vennero modificate per ospitare più di 30 cannoni ciascuna di diverso calibro, molti dei quali sulle fiancate, novità assoluta per le navi dell’epoca. Non trasportavano soldati, ma solo archibugieri.
Tanto lente e poco maneggevoli da dover essere spesso trainate, queste imbarcazioni erano però molto alte e dunque inabbordabili e potevano sparare in tutte le direzioni. Così al comando del provveditore Francesco Duodo furono schierate davanti alla flotta e una volta accerchiate dagli ottomani iniziarono a fare fuoco con proiettili speciali studiati per danneggiare gravemente le navi nemiche.
Fu una strage che costò ai turchi oltre 70 navi e che segnò l’esito della battaglia. È interessante dunque oggi ricordare come questo scontro epocale venne deciso da un’innovazione tecnologica che proveniva dall’arsenale di Venezia; città che da lì a poco sarebbe diventata uno dei centri più importanti di quella rivoluzione scientifica che ha segnato il destino dell’Occidente.
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