Gentile Ministro,
siamo un gruppo di Dottori di Ricerca italiani e Le scriviamo per portare alla luce un paradosso del nostro paese: il titolo di Dottore di Ricerca e l’inutilità di tale titolo nella scuola.
Il nostro paese, purtroppo, raramente riconosce il valore di chi ha dedicato molto tempo della sua vita allo studio, al punto che molti di noi sono costretti a cercare in un’altra nazione una maggiore possibilità di apprezzamento e di riscontro concreto.
Paradossale poi è il caso della scuola, il luogo in cui tutti noi siamo cresciuti nella convinzione di poter operare, grazie allo studio e all’impegno, quel “salto di qualità” che ci permettesse di migliorare la nostra vita e di contribuire, grazie alla solidità di un sicuro bagaglio culturale, al benessere della nostra società. La scuola ci ha insegnato il valore della cultura e dell’impegno, ci ha aiutati a crescere nel sacrificio e senza il ricorso a facili scorciatoie. Eppure questa stessa scuola pare non apprezzare il più alto titolo di studio riconosciuto dallo Stato italiano, ossia il Dottorato di Ricerca!
Ad oggi i Dottori di Ricerca non vedono adeguatamente riconosciuto un titolo raggiunto dopo anni di servizio e di impegno, anche didattico, e soprattutto dopo una dura selezione concorsuale. Questo accade sebbene una prima bozza del decreto Israel (il regolamento che disciplina i requisiti e le modalità della formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria, nonché secondaria di primo e secondo grado) avesse riconosciuto, come titolo di accesso diretto ai corsi abilitanti, il Dottorato di Ricerca o l’aver svolto, per almeno due anni, attività di ricerca scientifica nelle università.
Di questa bozza si sono in seguito perse le tracce.
Il Dottorato di Ricerca, in molti Paesi del mondo, rappresenta, ad oggi, il più alto titolo di istruzione universitaria, com’è indicato chiaramente dal Processo di Bologna.
Tale titolo di studio costituisce in molti Paesi europei valida abilitazione all’insegnamento. E’ inoltre una qualifica professionale coerente con le definizioni adottate in ambito comunitario, ed è requisito preferenziale per il conferimento da parte delle università di incarichi di docenza o di contratti di ricerca. Quest’ultimi infatti, come ben precisa una nota ministeriale del 12 marzo 1998, protocollo n. 523 (che richiama l’art. 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) non sono attivabili “con neo-laureati privi di ulteriori titoli di formazione alla ricerca o di documentata ed idonea esperienza per attività di ricerca già svolta, ovvero di curriculum scientifico-professionale adeguato”.
Un’ulteriore conferma di questo aspetto è data anche dall’art. 1, comma 10 della L. n. 230/2005, che afferma che “sulla base delle proprie esigenze didattiche e nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, previo espletamento di procedure […] che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, le università possono conferire incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, anche pluriennali, nei corsi di studio […] a soggetti italiani e stranieri, in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali […] e a soggetti incaricati all’interno di strutture universitarie che abbiano svolto adeguata attività di ricerca debitamente documentata”.
In Italia, il nostro titolo è quindi considerato valido per poter insegnare nelle università ma non è considerato valido per la funzione di docente nelle scuole medie e superiori.
E’ innegabile che la maggiore istruzione universitaria, basata su anni di approfondimento rispetto alla sola laurea, rende i Dottori di Ricerca una risorsa che sarebbe auspicabile poter utilizzare nell’ottica di una scuola di “qualità”. Per questo motivo, coscienti di dover colmare alcune lacune sulle specifiche competenze didattiche rivolte a studenti delle scuole primarie o secondarie, chiediamo che ci sia consentita almeno l’ammissione “in via diretta” ai percorsi abilitanti (TFA ordinario o PAS).
La preghiamo inoltre di considerare come il decreto Miur 10 settembre 2010, n. 249 dissipi ottusamente un fondamentale capitale umano, equiparando i dottori di ricerca italiani, e anche tutti coloro che, dopo aver conseguito questo titolo, hanno svolto per anni attività di ricerca scientifica sulla base di rapporti di lavoro a tempo determinato (costituiti ai sensi dell’art. 51, comma 6 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ovvero dell’art. 1, comma 14, della legge 4 novembre 2005, n. 230), a dei neo-laureati.
Viene inoltre del tutto disattesa la Direttiva 36/2005/CEE (recepita nel nostro Paese con il D.Lvo 9 novembre 2007 n. 206), che prevede che l’esperienza professionale, intesa quale “esercizio effettivo e legittimo della professione in questione in uno Stato membro” (cfr. art. 3, lett. f), sia “assimila[ta] a un titolo di formazione “purché questa sia pari o superiore ai tre anni“.
Purtroppo l’ Italia, Stato membro dell’Unione europea, ignora del tutto la suddetta direttiva, sebbene quest’ultima sia stata paradossalmente richiamata nella modifica al decreto Miur 10 settembre 2010, n. 249, con cui si sono istituiti i PAS, nel quale tuttavia nuovamente non è contemplato un trattamento adeguato all’alto profilo proprio dei Dottori di Ricerca.
Il dottore di ricerca vanta un titolo di formazione che è del tutto assimilabile all’esercizio effettivo e legittimo della professione, anche nei suoi risvolti didattici, per una durata almeno triennale, così come richiesto dalla suddetta norma comunitaria (requisito richiesto per la partecipazione ai Pas era proprio un’esperienza triennale di insegnamento della materia specifica).
Si sottolinea inoltre come, ai sensi della L. 341/1990, quello di Dottore di Ricerca sia titolo riconosciuto per svolgere attività di docenza ai corsi di specializzazione all’insegnamento per l’acquisizione dell’abilitazione (Ssis). Risulta del tutto irragionevole il non considerare abilitato all’insegnamento, o in second’ordine non ammettere direttamente ai percorsi di abilitazione quali Tfa o Pas, personale che ha d’altra parte tutti i requisiti richiesti per insegnare o svolgere funzioni di docente o commissario d’esame proprio nei medesimi corsi abilitanti alla professione di insegnante (Ssis ma anche Tfa ordinario).
Si fa inoltre notare come in molti stati europei il titolo di Dottore in Ricerca sia abilitante all’insegnamento e come, ai sensi della Dir. 36/2005, l’Italia sia obbligata a riconoscere come abilitante all’insegnamento il titolo di Dottore di Ricerca conseguito presso paesi esteri in cui esso è ritenuto tale. Un altro interessante paradosso!
Riteniamo oltremodo incoerente, discriminante e lesivo della nostra categoria non godere del medesimo trattamento riservato ad altri cittadini di una comunità di cui condividiamo leggi, orientamenti e prospettive per il futuro.
In ultima analisi, è giusto sottolineare che moltissimi Dottori di Ricerca italiani, oltre ad avere incarichi di ricerca nelle università, oltre ad aver insegnato nelle università stesse, oltre ad aver prestato la loro opera come docenti o commissari d’esame nei corsi per la formazione iniziale degli insegnanti, possono in alcuni casi vantare anni di esperienza nella scuola secondaria di primo o secondo grado. Lo stesso Stato che oggi ci considera non abilitati e non idonei all’accesso diretto ai corsi abilitanti ci ha già impiegati per coprire ruoli di docenza nelle scuole. Tale esperienza, sommata al valore aggiunto dei tre anni di dottorato, purtroppo non è ancora sufficiente per l’ammissione ai corsi di abilitazione, al contrario di ciò che avviene con chi è stato ammesso ai corsi di abilitazione Pas in virtù di tre anni di esperienza nella scuola.
Speriamo che il buon senso porti finalmente ad una più pertinente valutazione del titolo di Dottore di Ricerca nella scuola, al fine dell’ammissione diretta ai percorsi abilitanti (Tfa o Pas), riconoscendo finalmente il bagaglio culturale conferito da tale titolo.
Tutto ciò nell’ottica di una scuola di qualità, competitiva in Europa, che insegni ai suoi allievi che studiare non è inutile, perché i titoli acquisiti con sacrificio sono spendibili anche nella nostra nazione, e soprattutto che consenta di trasferire ai ragazzi l’approfondita conoscenza della materia con la maturità e la padronanza acquisite dopo anni di approfondimenti.
Sogniamo una scuola che renda fecondi, facendoli uscire dai laboratori universitari, i risultati e le nuove prospettive delle discipline di insegnamento, e che contagi da subito le nuove generazioni di studenti dello stesso entusiasmo che ha connotato i nostri anni di studio, in un’ottica di ammodernamento epistemologico della scuola e di approfondimento di punti di vista diversi ed innovativi.