Si chiude il 2020: quello che entrerà nella storia come l’anno del Covid. Un anno durante il quale gli italiani sono stati messi a dura prova. E la scuola ancora di più. Ne abbiamo parlato con il nostro direttore Alessandro Giuliani, che ha ripercorso i punti salienti in ambito scolastico, proiettandosi a quello che potrà accadere nel 2021.
L’incubo della scuola chiusa ha preso il via ad inizio marzo, quando il governo, con i contagi in crescita esponenziale, è stato costretto di optare prima di tutti per il vero lockdown.
Qualche settimana prima, a gennaio, il premier Giuseppe Conte aveva affidato il dicastero dell’Istruzione all’allora sottosegretaria Lucia Azzolina: la grillina – docente, quasi dirigente ed ex sindacalista che sembra andare poco d’accordo con i sindacati – è andata a ricoprire il ruolo di ministro dell’Istruzione lasciato scoperto dal dimissionario Lorenzo Fioramonti, in rottura col M5S.
Nemmeno il tempo di accasarsi a Viale Trastevere che il Coronavirus ha preso il sopravvento, costringendo dal 9 marzo oltre 8 milioni di alunni e un milione di insegnanti alla forzata didattica a distanza per quasi 100 giorni consecutivi.
Sono stati mesi duri, che almeno nella prima fase hanno evidenziato la poca dimestichezza con le nuove tecnologie di una fetta non trascurabile di docenti, soprattutto della primaria. Poi, però, col passare delle settimane (anche perché nel frattempo la DaD è diventata obbligatoria, con tanto di valutazioni equiparate a quelle in presenza) il corpo insegnante ha mostrato grande reattività, cominciando a gestire pure le varie piattaforme per svolgere lezioni e verifiche in sincrono.
Ma senza avere possibilità di raggiungere tutti i loro alunni: un milione e mezzo di giovani, infatti, non ha avuto accesso alla DaD; solo una parte di loro ha ricevuto i tablet messi a disposizione, in più tornate, dal ministero dell’Istruzione con i fondi stanziati dal Governo. Alla fine, tra marzo e novembre, saranno distribuiti oltre 430 mila device e più di 100mila connessioni. Numeri importanti, che però non sono stati sufficienti per colmare il digital divide. E nemmeno per superare le difficoltà dei 300 mila disabili costretti ad interagire con uno schermo.
Ma ad essere travolti dal Covid sono stati pure gli Esami di Stato: quelli di fine medie si sono svolti direttamente in remoto, con gli studenti collegati da casa.
La maturità, invece, si è consumata senza prove scritte e con l’orale in presenza incentrato su argomenti di tutte le discipline del quinto anno: una circostanza che ha fatto molto discutere.
L’estate veniva nel frattempo caratterizzata da diversi avvenimenti: sulle graduatorie dei precari prima la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha rimandato tutto al 2021, con tanto di scuse in conferenza stampa; poi c’è stato il ripensamento, che ha portato alla frettolosa produzione di un algoritmo che ha prodotto una considerevole percentuale di errori di posizione.
A far scalpore è stato anche il record di supplenze annuali, circa 250 mila, un terzo delle quali su sostegno, sottoscritte con il nuovo anno scolastico 2020/21: alcune migliaia, peraltro, ancora si devono realizzare.
Nel frattempo, i già banditi concorsi per complessivi 78 mila posti sono stati portati avanti a fatica. Gli ordinari, per tutti i cicli scolastici, sono rimasti fermi ai bandi. Lo straordinario è partito in autunno, ma poi si è bloccato all’inizio di novembre, con circa 20 mila dei 64 mila candidati costretti ad attendere che il Covid tornasse a livelli accettabili.
Qualche giorno prima, anche gli studenti delle superiori erano stati ricacciati a casa, di nuovo a svolgere lezioni a distanza, per via dei trasporti affollati, i tamponi rapidi rimasti promesse e la seconda ondata di Covid. Una condizione che in alcune regioni ha coinvolto pure gli alunni della seconda e terza media. In Campania e Puglia, per alcune settimane le aule sono rimaste chiuse anche dalla primaria in su. In compenso, il governo, per iniziativa del commissario straordinario Domenico Arcuri, ha assicurato 2 milioni e 400 mila banchi monoposto, alcuni pure con le rotelle, di cui una piccola parte ancora non giunti a destinazione.
Nel frattempo, la DaD è diventata Didattica digitale integrata, tre dei sei sindacati rappresentativi (Cisl, Anief e Flc-Cgil) hanno sottoscritto il contratto integrativo che regola le lezioni a distanza (ma non il rinnovo del contratto di lavoro, con gli aumenti rimasti al palo) e le connessioni delle scuole sono state potenziate.
Negli ultimi giorni dell’anno il Parlamento ha varato una Legge di Bilancio che dà alla scuola 3,7 miliardi di euro. Ma ha anche ufficializzato che all’Istruzione andranno oltre 10 miliardi del Recovery fund: una cifra alta, ma che comunque rimane appena poco superiore al 5% dei finanziamenti che il governo Conte si appresta a ricevere in primavera dalla Commissione europea per la ripresa post-Covid.
E l’anno si chiude con un obiettivo comune, caldeggiato in primis dalla ministra Lucia Azzolina: il ritorno in classe a gennaio il 7 gennaio, Covid permettendo. Con la percentuale di studenti delle superiori in presenza che però inizialmente non andrà oltre al 50%.
La speranza è che il numero si raddoppi il prima possibile: perché anche se le lezioni via web sono diventate man mano più efficaci, quelle svolte in aula rimangono sempre un’altra cosa.
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