Basta con le classi pollaio, il numero di alunni per aula va dimezzato, il distanziamento fisico scuola deve essere di almeno un metro e mezzo, banchi ben distanziati, mascherine da indossare e niente assembramenti con entrate, uscite e ricreazioni alternate: sono solo alcuni dei diktat che la scuola si appresta ad imporsi per la ripresa delle lezioni in presenza, probabilmente a settembre con l’avvio del nuovo anno scolastico.
La definizione del protocollo è imminente e le scuole dovranno adeguarsi. Intanto, però, gli Uffici scolastici si comportano come se nulla fosse. Nel senso che – in assenza di indicazioni formali da parte del ministero di Viale Trastevere – continuano a costituire delle classi con i soliti parametri, andando a formare classi per il nuovo anno scolastico anche con numeri spropositati: numeri che nella normalità sarebbero inaccettabili, figuriamoci in presenza di una situazione di probabile pericolo di contagio come quella che si prefigura purtroppo anche alla fine della prossima estate.
Gli esempi di classi con oltre 30 iscritti abbondano. Soprattutto perché siamo ancora nella fase dell’organico di diritto, quella in cui gli Uffici scolastici territoriali applicano alla virgola le norme sulle formazioni di classi iniziali, a partire dai parametri minimi per la formazione delle prime classi: 18 all’infanzia, 15 alla primaria, 18 alle medie e 27 alle superiori, tranne le eccezioni o la presenza di disabili, che fanno ridurre il tutto.
Il problema è il superamento di quelli massimi: 29 allievi all’infanzia, 27 alla primaria, 28 alle medie e 30 alle superiori.
E nelle classi intermedie, soprattutto alle superiori, i dirigenti concedono difficilmente classi attorno ai 15 alunni.
Negli anni passati, con l’organico di fatto, in piena estate e a seguito della presentazione da parte dei presidi di numeri di alunni per classe più alti, dovuti alle iscrizioni presentate in ritardo, i casi più eclatanti si risolvevano con lo sdoppiamento. Ma non sempre.
E oggi? Al momento possiamo dire che chi pensava che nel 2020 il copione sarebbe mutato sin dal principio è rimasto deluso.
La situazione sarebbe aggravata dal fatto che quest’anno i capi d’istituto non hanno potuto considerare nella formazione delle classi il tradizionale tasso di ripetenza (attorno al 20%), poiché a seguito della didattica a distanza il 99 per cento degli alunni passerà automaticamente alla classe successiva (anche in presenza di lacune gravi e assenze massicce): e senza i 4-5 alunni “aggiunti”, laddove la quantità di iscritti non è eccezionale, è diventato ancora più difficoltoso raggiungere i parametri minimi per far scattare la classe.
Secondo quanto pervenuto alla Tecnica della Scuola, sulla formazione delle classi e degli organici dell’a.s. 2020/21 ci sono alcuni dirigenti degli Ust che si stanno addirittura mostrando più rigidi che in passato. Non considerando minimamente l’emergenza Covid-19.
A Roma, ad esempio, in una scuola secondaria superiore, l’Ufficio scolastico per il prossimo anno scolastico ha unito due classi intermedie dell’istituto, rispettivamente con 18 e 16 alunni ciascuna, creandone una unica da ben 34 studenti.
Il problema non riguarda solo i grandi centri. Il 15 maggio l’assessore regionale delle Marche, Loretta Bravi, ha fatto sapere di avere scritto alla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, per denunciare le criticità nella formazione delle classi in diverse province.
Al Liceo Scientifico Statale Luciano Laurana di Urbino, scrive Bravi, vi sarebbe “l’intenzione di concedere soltanto 5 classi, anziché 6: scelta che comporterebbe una classe con ben 32 ragazzi, tra cui un portatore di handicap”.
Una situazione simile è al “Liceo classico, della stessa città, che rischia di avere una prima con 33 alunni e dunque studenti da reindirizzare”.
La rigidità c’è però anche al contrario: stiamo parlando della formazione di nuove classi. Visto che in presenza di un numero anche appena inferiore ai parametri minimi, l’Ufficio scolastico si oppone alla formazione della classe.
Sempre l’assessore regionale delle Marche fa l’esempio “dell’Istituto di Istruzione Superiore Polo 3 Tecnico Professionale di Fano, dove resta il problema dell’apertura della classe prima”, perché con un numero non sufficiente di studenti.
“Non è accettabile – dice l’assessore – che proprio mentre si ragiona sulle regole per il distanziamento in aula e si tenta in ogni modo di evitare le classi pollaio, nelle Marche si adotti la logica opposta”.
Alle superiori, il rischio di queste situazioni è che gli studenti “respinti” debbano rivolgersi ad altri istituti, a volte cambiando anche il corso di studio inizialmente prescelto. Oppure il compromesso, quando si tratta di classi intermedie che scendono al di sotto del numero minimo, è la predisposizione di classi articolate: le materie comuni si svolgono assieme (con la classe che diventa “maxi”), mentre il gruppo si sdoppia per quelle d’indirizzo.
“È incomprensibile – commenta ancora Bravi – capire perché, pur di tagliare delle classi, si provveda al trasferimento dei ragazzi ad altro istituto. Ciò che da anni andiamo ripetendo è che non possono essere i soli numeri a decidere come debba essere la nostra scuola”.
Il problema è approdato anche in Parlamento: il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, ha detto a “Il Mattino” che “occorrono regole chiare che permettano di dare certezze ai dirigenti scolastici”.
“Ripongo fiducia nella ministra, capisco le difficoltà ma ora, ripeto, servono certezze, non dichiarazioni assolute che, nel giro di qualche ora, diventano invece opinioni personali. Parlo con professori e dirigenti scolastici e mi esternano dubbi e incertezze: non devono esserci. Serve invece tracciare una linea definitiva per la fine dell’anno scolastico e altrettanta determinazione – ha concluso Marcucci – per preparare il nuovo”. Che nel tempo del Coronavirus non può proprio iniziare con classi over size.
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