Quella delle scuole all’estero è una realtà che molti docenti vorrebbero vivere. Ma ci sono sempre meno istituti e le condizioni non sono più quelle d’una volta.
Anche la loro gestione è sempre più difficoltosa. Stiamo parlando di circa 150 scuole e sezioni italiane rimaste in vita, sparse per l’Europa. A cui se ne aggiungono quasi altrettante negli altri Continenti del mondo. Non molti anni addietro erano molte di più.
Complessivamente, vi sono iscritti tra i 20mila e i 30 mila alunni (italiani e non) e vi operano circa 300 insegnanti. Più tra i 400 e i 500 esperti di corsi di lingua e cultura italiana (con le lezioni che si svolgono anche nella lingua del posto).
Durante gli ultimi Stati generali della Lingua italiana nel mondo, svolti ad ottobre a Firenze, si è parlato molto dello stato di salute della promozione e della diffusione della nostra lingua e cultura all’estero. Ma se ne sta parlando soprattutto in questi giorni, perché uno dei decreti delegati della Legge 107/15 che il Consiglio dei ministri si accinge ad approvare, alla presenza del premier Gentiloni, è proprio sul riordino delle scuole italiane all’estero.
“La Tecnica della Scuola” ne ha parlato con Angelo Luongo, responsabile del dipartimento estero Uil Scuola.
Luongo, come giudica i contenuti del decreto legislativo sulle scuole italiane all’estero, derivante dalla Legge 107/15, che il Consiglio dei ministri sta per presentare alle Camere?
Ci sono diverse novità, purtroppo non positive. Sono previsti diversi tagli. Tra cui pure quello degli stipendi, di oltre il 20%. Poi sembra che vi sia l’aumento dell’orario obbligatorio settimanale di docenza a 24 ore, l’abolizione di tutte le forme di mobilità volontaria, la supervalutazione nella carriera e di tutte o quasi le tutele contrattuali vigenti. Qualcuno potrebbe chiedersi perché questi docenti vengano considerati dai nostri politici come dei personaggi “Brutti, sporchi e cattivi!”. Forse gli autori delle norme da approvare si sono consultati per scriverle proprio con gli sceneggiatori del famoso film di Ettore Scola.
La vostra posizione in merito è quindi negativa?
Facciamo una premessa: occorre mettere giù le mani da qualunque intervento sulle norme contrattuali vigenti e sulle materie pattizie, che regolano il rapporto di lavoro dei nostri docenti all’estero. Per il sindacato, provvedimenti di questo genere sono del tutto inaccettabili e irricevibili. Un decreto che, per delega legislativa ha esclusivamente la funzione di riordino e di semplificazione delle norme vigenti in materia, non può, nella maniera più assoluta, modificare e stravolgere sul piano strutturale l’intero assetto legislativo e contrattuale del nostro sistema scolastico e di promozione dell’italiano all’estero.
Ma come sta la nostra lingua all’estero?
Al di là di prestigiosi eventi e di raffinate manifestazioni, che si sono susseguite in questi anni, la nostra lingua all’estero non sta affatto bene. Perché è sempre più forte la concorrenza di altre lingue straniere, cosiddette “rampanti”. Mentre i nostri strumenti di promozione della lingua italiana, le scuole, i corsi, gli istituti di cultura, restano sempre ancorati ad una normativa vecchia ed obsoleta, che negli ultimi cinquant’anni nessun Governo o Parlamento sono mai riusciti a riformare.
Cosa servirebbe per rilanciarla?
Urge certamente che il Parlamento realizzi un piano di riforme strutturali in questo settore di formazione, realizzando, con una vera e propria cabina di regia, un efficace e sinergico coordinamento tra i vari soggetti in campo.
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La “Buona Scuola” poteva essere l’occasione giusta?
Poteva esserlo, ma è andata diversamente. Perché con questo decreto in via di approvazione, si vogliono introdurre modifiche strutturali al nostro sistema scolastico e di promozione della nostra lingua, elaborate nelle stanze ministeriali. Il tutto senza alcun contributo del Parlamento, delle forze sociali, dei tanti organismi associativi e rappresentativi dei milioni e milioni di nostri connazionali che vivono all’estero.
A proposito, il Consiglio generale degli Italiani all’estero è a conoscenza di questo provvedimento che mette in crisi i corsi di lingua e cultura italiana per i cittadini italiani residenti all’estero, sostituendoli con quelli di lingua italiana per stranieri?
Purtroppo non c’è stato alcun aperto e democratico dibattito con tutte le nostre comunità all’estero. Le quali, invece, dovevano essere ascoltate, al fine di esprimere la loro volontà nei confronti del Governo e del Parlamento.
Quindi, ci saranno aumenti dei costi a carico delle famiglie?
Dispiace dirlo, ma purtroppo sì.
Le risulta anche che tra gli obiettivi del decreto delegato ci sia anche l’abolizione di gran parte delle forme di assistenza indiretta relative alle iniziative di assistenza linguistica (enti gestori, associazioni e altro)?
Sarebbe davvero grave se tali decisioni fossero prese senza alcun contributo del CGIE. Per quanto riguarda le modalità didattiche e organizzative del corso di lingua e cultura italiana, siamo d’accordo sul fatto che debbano necessariamente adeguarsi alle più attuali metodologie di insegnamento dell’italiano come lingua straniera. Tuttavia non si può negare che negli ultimi anni è fortemente aumentata, soprattutto in Europa, la percentuale di cittadini italiani che si recano all’estero con le loro famiglie, anche per periodi non prolungati, ai cui vanno messi a disposizione, da parte delle strutture consolari italiane, servizi scolastici efficienti e adeguati.
Quindi, secondo lei, la scorciatoia del decreto per bypassare una seria e organica riforma della promozione della nostra lingua nel mondo è la peggiore delle soluzioni? Forse è quella che una volta si chiamava “la soluzione finale”?
Da tutti i punti di vista è, secondo noi, una vera e propria sciagura da evitare. A tutti i costi. Piuttosto, è ancora possibile da parte del Parlamento cogliere questa occasione per impegnarsi ad avviare rapidamente un percorso legislativo riformatore, con il contributo delle forze sociali e di tutti i soggetti associativi delle nostre comunità nel mondo.