I lettori ci scrivono

Adolescence: essere docente è difficile, ma ancor più essere genitore

CobasCobas

Da docente e da madre vorrei commentare la serie TV “Adolescence”, che ho guardato con molto interesse ma anche con terribile apprensione. Si possono dare diverse chiavi di lettura ma credo di non andar lontano quando affermo che la verità si trovi nell’ultima sequenza, quando il padre del ragazzo omicida, tra le lacrime, si rammarica di non aver saputo fare di meglio nell’educare il proprio figlio.

Drammatico e sconvolgente per un genitore rendersi conto di un vissuto interiore che non ha saputo comprendere: mi sono immedesimata come madre chiedendomi quanti e quali errori si possano commettere in buona fede. Ma non mi sono immedesimata nella situazione da docente, nel senso che non credo che sia in nostro potere sanare situazioni distorte, bensì al massimo, forse, solo riuscire a percepirle e, eventualmente, segnalarle in primis alla famiglia e poi a specialisti ad hoc.

Pensare che la scuola possa diventare il luogo nel quale tutto si risolve, dove le mancanze della famiglia e della società possano trovare magicamente la soluzione, secondo me, significa distorcere il senso vero dell’istituzione, scambiata per una sorta di ospedale onnicomprensivo: educazione stradale, alimentare, sessuale, tecnologica… tutto dovrebbe essere affidato ai docenti, i quali, come ben scrivete, spesso si sentono investiti, per così dire, di ruoli taumaturgici, in buona fede, e si sorbiscono ogni sorta di corso di aggiornamento, nella convinzione di poter salvare il mondo.

Finché si tratta di riconoscere disagi e bisogni, potrei anche essere d’accordo, ma pensare di scaricare sugli insegnanti tutte le mancanze di società e famiglia, secondo me porta ad una terribile ingiustizia nei confronti di chi si spende per la scuola. Non mi riferisco poi senz’altro alla questione remunerativa, troverei volgare farne un discorso di soldi, ne farei invece una questione di opportunità.

Tornando alla serie “Adolescence”, la consiglierei piuttosto ai genitori, perché provino a tentare qualche “incursione” nel mondo nascosto dei figli, quei social tremendi che tutti usano e che hanno sostituito, purtroppo, i luoghi reali degli incontri di noi esseri umani.

Mi permetto di concludere poi in qualità di persona impegnata nel mondo pro-life da decenni: incontrare i genitori e i giovani al di fuori dell’ambiente scolastico per proporre modelli positivi legati all’amicizia, all’amore, alla bellezza della vita, potrebbe forse essere una proposta diversa e, per esperienza, condivisibile da chiunque. Tentare di creare una sorte di ponte tra generazioni richiede tempo, disponibilità, competenze alternative a quelle dei docenti ma individuabili in persone che si dedicano alla sensibilizzazione al valore della vita, come attività di volontariato.

Vittoria Criscuolo

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