Croce e delizia dei nostri tempi, i cellulari in molti Paesi sono sempre più oggetto dell’attenzione del legislatore. La Francia potrebbe a breve varare una legge per vietare ai minori di 15 anni l’uso dei social media. Ai primi di febbraio il governo parigino si è posto il problema di introdurre controlli più stringenti per verificare l’età degli utenti, onde impedire ai minorenni l’accesso ai siti pornografici (oggi riservato a chi abbia — o meglio, dichiari — 18 anni). Si pensa a un “passaporto digitale”, controllato da app simili a quelle usate dalle banche: con conseguenti problemi di privacy, però, che limiterebbero la libertà degli utenti, permettendone la profilazione a fini di mercato (e rischiando di far perdere ai signori dell’hardcore un bel po’ di potenziali clienti e di fatturato).
Da diversi anni, peraltro, in Europa si dibatte sui rischi comportati dalle radiazioni elettromagnetiche dei cellulari per la salute dei minori.
Ci si pone, giustamente, anche in Italia il problema di impedire che i minori diventino dipendenti dal web (come già accade su vasta scala), o che siano manipolati dalla pubblicità; o peggio ancora che, sui social media, possano incappare nelle mani di malintenzionati e maniaci. Circa due anni fa una proposta di legge, avanzata da ex esponenti del M5S (tra i quali l’ex ministro dell’istruzione Fioramonti) mirava a vietare l’uso autonomo dei dispositivi digitali ai minori di dodici anni, con multe da 300 a 1.500 euro per i genitori rei di non vigilare sui propri figli (multe da convogliare nel Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza). Nel progetto di legge si accenna anche, infatti, al malcostume di quei genitori che mandano i figli a letto con lo smartphone acceso, convinti che possa conciliare il sonno dei propri pargoli.
La proposta di legge prevede in realtà un progressivo avvicinamento (vigilato dai genitori) dei minori ai dispositivi digitali, secondo diverse fasce d’età: divieto assoluto dalla nascita ai tre anni; non più di un’ora al giorno da tre a sei anni; tre ore dai sei agli otto anni; dai nove ai dodici anni quattro ore. Vietati i device nelle scuole.
Tremano, naturalmente, tutte quelle aziende che, da leggi di questo tenore, riceverebbero perdite economiche, e che per questo motivo già lamentano il rischio dello “Stato etico”.
Pedopornografia, “revenge porn”, “sextortion”: è giusto lasciare che milioni di bambini e adolescenti siano esposti inermi e inconsapevoli a barbarie simili? Secondo un dossier di Save the Children e Polizia Postale, nel 2021 i reati di pedopornografia accertati sono aumentati del 47%, con 32 vittime al di sotto dei nove anni. Dodici le vittime minorenni del revenge porn (o “porno vendicativo”). Parecchie decine le ragazze più giovani di 17 anni vittime di sextortion (estorsioni a sfondo sessuale). Ma questi sono solo i casi conosciuti: quelli non denunciati, probabilmente, sono la maggior parte.
Il CoVid ha permesso l’esaltazione della tecnologia telematica come àncora di salvezza per fare comunque scuola malgrado l’impossibilità di uscire di casa. Eppure si sarebbe dovuta combattere la tendenza dei giovanissimi chiudersi nell’uso del proprio dispositivo (e quindi nella propria solitudine) sostituendo il mondo reale con quello virtuale. Ansia, depressione, isolamento, perdita di controllo, sbalzi d’umore: sintomi come questi, che decenni fa caratterizzavano solo le psicosi e le forme più gravi di nevrosi degli adulti, grazie agli smartphone sono oggi patrimonio comune di un numero crescente di adolescenti, la cui unica preoccupazione è quella di controllare i messaggi ricevuti nei social. E non dimentichiamo il pericolo gravissimo costituito dalle “challenge” (le sfide rischio di suicidio involontario), di cui abbiamo già scritto in un precedente articolo.
Tutti gli insegnanti più avveduti, intanto, constatano nei propri alunni deficit cognitivi sempre più marcati e diffusi, incapacità di concentrarsi, di comprendere semplici domande, di tradurre semplici istruzioni in comportamenti concreti, di mettere in relazione le cause con gli effetti (e viceversa), di distinguere nessi causali e temporali, di effettuare ragionamenti logici un tempo normali già in quinta elementare. Le classi si riempiono di presunti casi di dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia: dovuti, molto spesso, non a fattori genetici ed ambientali, ma ad una crescita disarmonica, fondata proprio sul passare intere giornate davanti a schermi elettronici.
D’altronde come meravigliarsi di tutto ciò, quando sono gli stessi adulti, ovunque, a non staccar mai gli occhi dai medesimi schermi? L’ipnosi collettiva miete vittime sulle scale delle stazioni ferroviarie, mentre si attraversa la strada, mentre si guida un’automobile privata, un mezzo pubblico, un treno. Dappertutto è ormai impossibile incrociare lo sguardo con il proprio prossimo. Tutti guardano il telefono: e in massima parte non certo per informarsi, ma per “chattare”, giocare ai videogiochi, seguire serie televisive, diffondere foto delle pietanze mangiate in ristorante!
Non di rado mamme nate negli anni ‘80 e ‘90 (gli anni del boom della TV spazzatura) placano i propri bimbi di due anni nel passeggino dando loro il proprio cellulare (e tirandone fuori un altro). Da simili generazioni di genitori ci si può aspettare resistenza contro la digitalizzazione forzata della Scuola nazionale, che il PNRR prospetta?
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