Riceviamo da Giorgio Palumbo, Presidente G.B. Palumbo & C. Editore S.p.A., e volentieri pubblichiamo
In questi giorni di emergenza sanitaria, mi sono spesso interrogato su quale possa essere il nesso che lega il Coronavirus alla difficoltà di dare corso alle adozioni di nuovi libri di testo.
Eppure, la didattica a distanza, che con quasi certezza riprenderà a settembre, ha fatto semmai emergere la necessità di disporre, oggi più di ieri, di strumenti aggiornati, in linea con le esigenze indotte da queste nuove modalità di insegnamento/apprendimento.
Ascoltando le trasmissioni in cui giornalmente esponenti politici di diverso orientamento, intellettuali, giornalisti e illustri virologi ci informano, a volte in modo contraddittorio, circa lo stato dell’arte dell’epidemia in corso, sui tempi e sulle modalità di una auspicabile uscita dalla stessa e di una necessaria prossima ripartenza, comunque condizionata dalla mancanza di un vaccino, non mi è ancora riuscito di capire come e perché il Coronavirus, che abbiamo tristemente appurato agisce a livello respiratorio sugli esseri umani, interagisce anche con le adozioni dei libri di testo, bloccandone sostanzialmente la formalizzazione anche nei (rari) casi in cui i docenti – in attuazione del costituzionale principio di libertà di insegnamento – sono orientati a procedere in tal senso.
Ho cercato di capire meglio chiedendo lumi alla nostra associazione di categoria e documentandomi ulteriormente sulla stampa specializzata.
Alla luce di queste ricerche, sembrerebbe che la situazione di sostanziale blocco delle adozioni si sia venuta a determinare a seguito della emanazione di un decreto (c.d. “decreto scuola”) che condizionerebbe tale possibilità all’eventuale ritorno a scuola il 18 maggio prossimo. Questo perché gli organi collegiali, deputati a fare anche le adozioni dei libri di testo (e/o di strumenti alternativi), dovrebbero legittimamente operare in presenza fisica, pena eventuali ricorsi.
In forza di questa circostanza, se non si dovesse rientrare a scuola nella data prevista, il Ministro potrebbe emettere anche una ordinanza con cui determinare formalmente il “blocco delle adozioni”.
Tralasciando le inevitabili considerazioni sui profili meramente burocratici di tali giustificazioni (la burocrazia sta soffocando il Paese più del Coronavirus), mi sono chiesto: ma è mai possibile che in un momento di così grave emergenza sanitaria, in cui tutti gli uffici pubblici, i ministeri, i consigli comunali, i consigli regionali, per tacere delle imprese, operano in via telematica, soltanto la scuola e, in particolare, i collegi dei docenti, per lavorare validamente devono riunirsi in presenza fisica?
In effetti, le cose non stanno così, né ragionevolmente potrebbero configurarsi nei termini come sopra esposti.
Esiste, infatti, il decreto “Cura Italia”, attualmente in fase di conversione in legge, che dispone già (essendo immediatamente operativo dal momento della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), all’art.73, comma 2, la possibilità per gli organi collegiali della scuola di “operare in videoconferenza, anche ove tale possibilità non sia stata prevista negli atti regolamentari interni”.
Ciò però non è immediatamente percepibile, perché la norma contenuta nel decreto si riferisce in via generale agli “organi collegiali degli enti pubblici nazionali” (tra cui però – ai sensi dell’art.1, comma 2, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n.165 – rientrano anche istituti e scuole di ogni ordine e grado); insomma, la sua generalità ha determinato un emendamento, ancora in attesa di ormai prossima conversione in legge, che apparentemente ha il merito di estendere la portata di tale norma anche agli organi collegiali delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, ma sostanzialmente risulta pletorico.
Dunque, è evidente che la possibilità di riunione telematica del collegio dei docenti è già contenuta nel decreto in vigore, mancando per la sua attuazione pratica solo un regolamento che può essere “interno” (ossia adottato dalla scuola stessa) oppure – ai sensi del TU Istruzione (art.40, D. Lgs. 297/1994) – quello eventualmente adottato dal MIUR.
A ciò si aggiunga che l’art. 37 del TU Istruzione si limita a prevedere – per la validità dell’adunanza – la “presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica”: ove l’uso dell’espressione “presenza” non implica in alcun modo che la norma pretenda la necessaria presenza fisica, bensì la partecipazione di quella percentuale di componenti il collegio, che – tanto più nelle circostanze contingenti – sembra assolutamente idonea ad assolvere allo scopo anche in forma telematica, così come accade per le riunioni degli organi collegiali delle società.
Sembrerebbe, quindi, non esserci alcun vincolo giuridico per i collegi dei docenti ad operare nella pienezza dei loro poteri anche in videoconferenza, secondo quanto disposto espressamente dalla nostra Costituzione in tema di libertà di insegnamento (riservata ad ogni singolo docente) oltre che in base a quanto stabilito a tal proposito dalle norme in materia di autonomia didattica riservata ai singoli istituti; ciò a meno che, invece, non ci siano altre ragioni che al momento mi sfuggono, evidentemente legate al virus e a motivi di salute pubblica.
Qualcuno potrebbe sostenere che col “blocco delle adozioni” si tutelano in realtà i bilanci familiari, ma dare libri obsoleti ai nostri figli con la scusa del risparmio equivale, in campo sanitario, a somministrare medicine scadute ai pazienti che non sono in grado di sostenere il costo delle cure, il che non mi sembra affatto una conquista di civiltà e di progresso sociale.
A coloro che ritengono di perseguire per questa via politiche sociali, addossandone in realtà tutto il costo e il sacrificio in capo ai soli editori e alle loro aziende, non degne evidentemente di essere tutelate al pari di altre, mi permetto obiettare che allo Stato spetta invece espressamente il compito di salvaguardare i bilanci familiari con opportune politiche a sostegno del diritto alla studio, quali la tanto auspicata detrazione fiscale per la spesa dei libri di testo e il rifinanziamento del fondo per gli incapienti (fermo al 1998 e da quella data mai rivalutato, nonostante la povertà in Italia da allora ad oggi sia cresciuta di oltre il 10%).
Agli editori spetta, invece – a prescindere da liberalità e solidarietà di cui hanno dato e danno ampia testimonianza – il dovere di fare bene e correttamente il proprio lavoro, tutelando le proprie aziende e i loro dipendenti perché questo in definitiva é il dovere sociale di una impresa.
Le nostre aziende e tutta la filiera ad esse collegata, promotori editoriali in primis, da cui traggono reddito migliaia di famiglie, hanno fatto, in tempi assai lontani dalla inimmaginabile emergenza che stiamo vivendo, ingenti investimenti nel quadro di una opportuna programmazione editoriale che teneva debitamente conto anche dei necessari aggiornamenti indotti da recenti e ripetute modifiche normative (si pensi, ad esempio, all’Esame di Stato); innovazioni che hanno in molti casi profondamente modificato l’impianto didattico delle nostre offerte editoriali, determinando la conseguente obsolescenza delle opere che si vogliono invece forzatamente mantenere in adozione.
É bene quindi che si faccia chiarezza in proposito, magari emanando la Circolare adozioni che tutte le scuole attendono, e si faccia in fretta perché la emergenza sanitaria determinata dal Coronavirus, non si trasformi per noi e per le nostre aziende in una ingiusta ed ingiustificata emergenza economica, la cui responsabilità non può certamente essere addebitata alla pandemia in atto.
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