Un territorio martoriato, arido, secco e controllato dai mujaheddin: questa la descrizione che era titolata su tutte le televisioni italiane ed internazionali durante i tragici avvenimenti della scorsa estate. Il paese, interessato da conflitti armati, rappresaglie e tensioni etno-religiose fin dalla fine degli anni ’70, non ha avuto modalità di potenziare o rendere almeno accettabile la didattica rivolta agli studenti delle scuole primarie e secondarie. La carenza di edifici, spesso distrutti o privi di utenze, di insegnanti laici e non appartenenti ad organizzazioni religiose e le limitazioni imposte alle studentesse rendono di fatto il sistema scolastico afghano come disgregato, improduttivo e obsoleto. Le responsabilità di tali limiti, oltre ad appartenere alle autorità locali, sono imputabili agli occupanti occidentali che hanno utilizzato l’area afghana come semplice luogo di manovra contro la guerra al terrorismo, essendo risultati incapaci di investire delle somme concrete per l’ammodernamento delle infrastrutture, del sistema di welfare e di quello scolastico per farlo tornare almeno ai livelli di base / sviòuppo intenso durante l’epoca democratica.
Scuole islamiche e scuole laiche: l’annoso dilemma per un sistema di formazione disgregato
La polarizzazione e l’appartenenza politica, nonché religiosa, degli istituti scolastici rende inapplicabili dei programmi, delle metodologie e dei contenuti a livello nazionale. Da una parte abbiamo il conservatorismo islamico, incentrato su attività di traduzione, interpretazione ed applicazione delle norme coraniche, condite opportunatamente con storia islamica antica e recente; dall’altra una scuola che cerca di recuperare i vecchi programmi datati all’epoca dell’Afghanistan democratico di Karmal, che propose un acuto e puntuale rinnovo dei testi scolastici ed universitari, laicizzando la pratica dell’insegnamento e dell’apprendimento. L’inefficienza del sistema è dovuta, oltre agli scarsi investimenti di autorità pubbliche spesso impegnate a contrastare escalation militari, all’appartenenza ed al controllo dei singoli plessi da parte di autorità laiche o islamiche. Nel mentre, continua l’esodo degli studenti in Occidente e in Asia Centrale: in Kazakistan sono state offerte borse di studio, alloggi e vitto a più di 200 studenti afghani, oltre al gradito sostegno finanziario e legale presso le città cosacche di Almaty, Shymkent, Karaganda, Ust-Kamenogorsk e Nur-Sultan.
La tragica situazione per le studentesse e il ritorno delle classi separate
Tra i provvedimenti di Hafizullah Amin, rimasto al governo del paese tra gli anni ’70 e ’80, era previsto, oltre alle varie riforme agrarie e dei costumi, un sistema d’istruzione e sanitario paritario per uomini e donne, decisamente rivoluzionario per una realtà islamica, Asia Centrale a parte. Una regressione qualitativa di tali risultati è stata innescata dal crollo del Blocco Orientale ed il conseguente collasso del Partito Democratico Popolare afghano: la guerra civile che ne è susseguita (1989 – 1992) e la conseguente presa del potere da parte dei ribelli islamici, noti oggi come talebani, ha fortemente limitato se non congelato l’erogazione di servizi di base, tra cui l’istruzione. Il ripristino della didattica ha seguito, negli anni a venire, norme stringenti ed arbitrarie imposte dalle autorità islamiche, oggi completamente ripristinate: classi separate per maschi e femmine e obbligo del burqa per queste ultime, anche se non religiose.
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