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Aggiornamento: un diritto o un dovere?

Nei giorni scorsi Ministero e Organizzazioni sindacali hanno sottoscirtto in via defintiva il contratto integrativo su aggiornamento e formazione.
Ne parliamo con Sofia Toselli, presidente nazionale del Cidi.
 
Domanda: Il contratto integrativo sulla formazione sottoscritto pochi giorni fa tra Ministero e Sindacati parla di formazione intesa come diritto del personale e come dovere dell’Amministrazione. Qual è il giudizio del Cidi?
Risposta: Se l’espressione vuol dire che la formazione in servizio è un diritto del docente a frequentare un aggiornamento di qualità liberamente scelto secondo  bisogni e interessi ed è un dovere dell’Amministrazione far sì che questo diritto sia garantito nel migliore dei modi, sono d’accordo. Dando per scontato che si intenda che dietro ad ogni diritto c’è il corrispondente dovere – un dovere preciso e irrinunciabile – da parte di ogni docente a tenere aggiornati gli strumenti culturali (disciplinari, didattici,  psicopedagogici) del “mestiere”,  perché sono quelli che fanno la differenza qualitativa nel processo di insegnamento-apprendimento.

D. Per sviluppare innovazione la scuola ha bisogno di personale sempre più professionalizzato. Si può ottenere questo risultato lasciando l’aggiornamento alla libera scelta individuale?
R. Sicuramento no. L’aggiornamento non può restare un optional perché è un aspetto fondamentale della funzione docente che garantisce, attraverso la pratica costante, la qualità del “fare scuola” e, più in generale, dello stesso sistema scolastico; quindi il diritto di ogni bambino e ragazzo ad avere la migliore istruzione possibile.  
 
D. Forse però l’alternativa  non può neanche essere  l’aggiornamento “coatto”. Quale potrebbe essere la soluzione più adeguata?
R. Probabilmente l’Amministrazione, oltre a garantire la formazione in servizio,  dovrebbe prevedere il controllo della qualità delle proposte e meccanismi premianti per chi si aggiorna, in modo da favorirne la partecipazione. Non parlo solo di soldi – sappiamo tutti che non ci sono –  ma dell’individuazione di titoli e crediti che vengono dalla  frequenza a corsi di aggiornamento autorizzati dal Ministero e della loro spendibilità, per esempio, ai fini dei  trasferimenti, nelle graduatorie interne di istituto, per richiedere il coordinamento di un dipartimento scolastico, in alcuni concorsi, ecc.

D. Negli anni ’70 e ’80 i docenti italiani erano molto più disponibili a investire tempo e risorse per aggiornarsi e per migliorare la propria professionalità. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una sorta di “deriva impiegatizia”. Secondo lei quali sono le cause?
R. Le cause sono tante. Gli insegnanti, anno dopo anno, hanno percepito la scarsa attenzione della politica e della società ai problemi della scuola e, conseguentemente, una inadeguata considerazione della loro funzione e del loro ruolo. Complice una informazione tendenziosa, spesso incapace di comprendere l’importanza dell’azione educativa. Nel tempo poi si sono “impoveriti” gli stipendi, difficile pensare a corsi a pagamento, persino l’acquisto di libri e giornali crea qualche difficoltà.  Inoltre, il disconoscimento che ormai perdura da anni del valore dell’aggiornamento, della formazione, della ricerca e sperimentazione, sta a significare che, in fondo, quello dell’insegnante è un mestiere che tutti possono fare e possono fare a basso costo. Tanto vale allora non impegnarsi troppo…
 
Reginaldo Palermo

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