L’aumento di aggressioni verso gli insegnanti italiani è una dato ormai acclarato. Ma non solo da noi: anche in altri Paesi del mondo si verificano continui episodi di genitori, studenti e altre persone che si scagliano in modo violento contro il corpo docente. Con effetti pure più gravi dei nostri.
Accade soprattutto in Sud America, in particolare in Colombia, dove l’alto grado di delinquenza incentiva il fenomeno. Ma non solo: negli ultimi tempi si è assistito ad una crescita di episodi dovuta allo schieramento politico esplicitato dai docenti.
La situazione ha raggiunto livelli preoccupanti, al punto che la Federazione colombiana dei lavoratori dell’Educazione, la Fecode, ha convocato uno sciopero nazionale del settore per il giorno 25 luglio.
Il motivo è opporsi “all’inadempienza del governo di accordi dello scorso anno e alle minacce ripetute ricevute da numerosi insegnanti”.
Il sindacato sostiene che “si sta registrando un preoccupante aumento dei casi di minacce contro gli insegnanti in varie parti della Colombia”, e “in particolare nei confronti di quelli che hanno appoggiato il candidato progressista Gustavo Petro nelle recenti elezioni presidenziali“.
Lo sciopero, annunciato dal quotidiano “El Colombiano”, è motivato dal fatto che nel Paese ci sono “fautori della violenza” che “stanno assassinando docenti e intimidendo la comunità educativa in differenti zone del Paese. Urgono garanzie di sicurezza per i maestri e campagne sociali per promuovere le scuole come territori di pace”.
Ora, pur con i dovuti paragoni, vorremmo soffermarci sul un punto: quello relativo al fatto che la portata delle aggressioni agli insegnanti sarebbe non solo inversamente proporzionale al grado di cultura dei propri cittadini, ma anche legata alla politica.
Laddove, infatti, gli insegnanti si schierano politicamente, si espongono al giudizio pubblico negativo. Ed aumenta il rischio che qualche cittadino si senta autorizzato a far scattare la punizione “corporale”.
Fortunatamente, nel nostro Paese di norma non capitano queste cose. Prima di tutto perché lo schieramento politico di un insegnante non è ammesso e sarebbe perseguibile, ad iniziare dal dirigente scolastico. Il quale potrebbe far scattare l’iter per un procedimento disciplinare. Ma questo vale quando certe posizioni vengono espresse in classe con gli studenti.
Al di fuori, invece, c’è più tolleranza: in Italia, mostrarsi favorevole a certe idee partitiche fa scattare, tuttalpiù solo aggressioni di tipo verbale.
Di recente, lo scorso 7 luglio, degli insegnanti commissari della maturità, impegnati in una scuola di Palermo, hanno aderito all’iniziativa lanciata dall’associazione Libera a sostegno di migranti, per sensibilizzare l’opinione pubblica per i tanti morti in mare, presentandosi al colloquio finale con gli studenti in maglietta rossa.
Diverse sono state le reazioni negative, tra cui quella del ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, che in un tweet ha scritto: “Per fortuna gli insegnanti che fanno politica a scuola (guarda caso sempre pro-sinistra e pro-immigrazione) sono sempre di meno, avanti futuro!”.
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