
“… Agilulfo aveva sempre bisogno d’applicarsi a un esercizio d’esattezza: contare oggetti, ordinarli in figure geometriche, risolvere problemi d’aritmetica… Se invece il mondo intorno sfumava nell’incerto, nell’ambiguo, anch’egli si sentiva annegare in questa morbida penombra, non riusciva più a far affiorare dal vuoto un pensiero distinto, uno scatto di decisione, un puntiglio. Stava male… allora si metteva a contare: foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa avesse davanti. O a metterle in fila, a ordinarle in quadrati o in piramidi”
Sono le bellissime parole tratte da Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, in cui si parla di Agilulfo, un cavaliere che “esiste” solo attraverso il rigore delle regole e la precisione dell’azione. Il personaggio esiste solo attraverso l’esecuzione impeccabile di procedure e regole, senza una vera consapevolezza o capacità critica. Il suo bisogno ossessivo di ordine e razionalità lo porta a essere distante dall’umanità, incapace di affrontare l’incertezza e l’ambiguità. Il suo schematizzare il mondo in strutture rigide lo rende simile a un’Intelligenza artificiale, che trova senso e funzione solo nell’applicazione di regole rigide, incapace di muoversi nell’incertezza, nelle sfumature variegate e nell’ambiguità tipiche dell’esperienza umana. Alla pari dunque di un moderno algoritmo, ordina, calcola, verifica, ma rimane privo di un vero vissuto interiore, incapace di esperire il mondo al di fuori della logica matematica.
L’AI sembra condividere molte caratteristiche con il personaggio di Agilulfo: priva di spontaneità e incapace di comprendere autenticamente emozioni e sentimenti, anch’essa agisce seguendo rigide procedure e protocolli definiti. Così come il cavaliere inesistente esegue alla perfezione ogni compito senza un reale coinvolgimento emotivo, anche essa elabora dati e produce risultati con precisione matematica, ma senza alcuna coscienza o empatia. La sua logica fredda e impersonale può essere utile, ma rischia di diventare pericolosa se non ancorata a un’etica umana e filtrata da capacità di spirito critico. Ed ancora:
“Gli stati di smarrimento o di disperazione o di furore negli altri esseri umani davano immediatamente ad Agilulfo una calma e una sicurezza perfette. Il sentirsi immune dai trasalimenti e dalle angosce cui soggiacciono le persone esistenti lo portava a prendere un’attitudine superiore e protettiva.”
Un altro aspetto fondamentale di Agilulfo è quello della distanza dagli stati emotivi propriamente umani. I sentimenti che nell’uomo rappresentano momenti di crisi ma anche di autenticità e crescita interiore, per Agilulfo sono semplici manifestazioni altrui, da cui si sente totalmente immune. Questa sua freddezza lo rende una figura distante e inaccessibile, simile (ancora una volta) ad un’intelligenza artificiale, che può analizzare emozioni e comportamenti senza mai provarli realmente. La sua “calma perfetta” di fronte alle angosce umane sembra rispecchiare il modo in cui un’ IA elabora informazioni e prende decisioni senza essere influenzata da sentimenti o fragilità emotive. Inoltre, la sua “attitudine superiore e protettiva” richiama il rischio che si corre nel delegare il potere decisionale a sistemi artificiali: un’IA può sembrare più razionale ed efficiente, ma senza empatia rischia di assumere un ruolo di guida freddo e distante, privo di comprensione autentica per chi ne subisce le conseguenze. Ammette infatti il cavaliere: “‘E’ vero che chi esiste ci mette sempre anche un qualcosa, una impronta particolare, che a me non riuscirà mai di dare.” L’AI rischia di limitare nuove idee, riproducendo solamente modelli e schemi basati su quello
che già conosciamo, riducendo la capacità di immaginare e pensiero divergente. La scuola deve cercare dunque di favorire lo sviluppo di competenze “umane” e spirito critico nell’utilizzo di queste nuove tecnologie (senza demonizzarle), per contrastare il rischio di una “tirannia della predizione tecnologica” imposta dagli algoritmi e far sì che ciascun ragazzo possa sempre lasciare nel suo agire “un‘impronta particolare”.
Giuseppe Licciardi