No alla logica aziendale e alla meritocrazia nelle scuole. Sì agli aumenti di stipendio per tutti e ai premi collettivi per i docenti, al bando gli incentivi per pochi. Lo sostiene l’economista Luigino Bruni, docente dell’Università Lumsa di Roma: La Tecnica della Scuola lo ha intervistato margine del suo intervento al Congresso generale della Cisl Scuola, svolto a Riccione, che ha portato all’elezione della nuova segretaria generale Ivana Barbacci. Riportiamo, qui di seguito, una sintesi delle risposte dell’economista e invitiamo i lettori vedere la video intervista di pochi minuti.
Professore, lei nel suo intervento ha parlato di invasione della logica aziendale nella scuola: perché non si può applicare alla scuola?
Le logiche aziendali nella scuola si possono utilizzare solo a dosi ‘omeopatiche’ e non da ‘cavallo’ come negli ultimi anni. La scuola è una comunità, non una società: dovremmo utilizzare incentivi più collettivi e meno individualistici.
Perché la competizione tra gli insegnanti non fa bene agli studenti?
Tra gli insegnanti la competizione va orientata alla cooperazione. Quando si supera una soglia, si sfalda il legame sociale: vale nelle imprese, che altrimenti implodono, ancora di più nella scuola.
Quindi nella scuola italiana si è superata questa soglia?
Ancora no, ma la cultura dominante va da questa parte. Se meritocrazia e cultura del business non rimangono fuori dai luoghi di istruzione, il rischio cresce.
Cosa è il teorema dell’anello debole?
La forza di un sistema si misura dall’anello debole, non da quello forte. Se ho nella scuola un professore demotivato, lo devo aiutare altrimenti mi rovina il lavoro degli altri. I docenti fragili sono loro l’anello debole del sistema: se lasciati soli, si rischia di compromettere l’obiettivo formativo.
Lei ha detto che l’essere meritevole dipende dalla vita e non dal singolo: ci spiega perché?
Si parla solo dei meritevoli e dei capaci. Allora chiedo: cosa ci facciamo con i non meritevoli e con gli incapaci? Li scartiamo? Se nasco in una famiglia ‘sbagliata’, senza incentivi e senza i cromosomi giusti, non sono colpevole. Quindi, i demeritevoli e gli incapaci dovrebbero essere messi nelle condizioni di diventarlo.
Ha anche detto che l’articolo 34 della Costituzione andrebbe rivisto…
La Costituzione è stata scritta in un mondo patriarcale e gerarchico: in certi articoli si sente l’usura del tempo e andrebbero riformati.
Ha anche ricordato che le riforme della scuola hanno abolito i voti e su questo è d’accordo: per quale motivo?
Pensiamo alla Montessori: il voto favorisce la dimensione competitiva e può scoraggiare quella formativa. I riformatori l’hanno capito e hanno cambiato. Bisognerebbe seguire Don Bosco, secondo cui ogni studente va aiutato in base al suo daimon, al suo talento.
Perché non bisogna cedere alle scuole “speciali”?
Abbiamo il primato mondiale sulle scuole inclusive: teniamocelo. Il lavoro del docente di sostegno equivale a quello delle cooperative sociali: nella scuola, la presenza dell’alunno disabile fa bene a lui e fa bene alla classe. Tornare indietro sarebbe un fallimento.
Come si fa ad aumentare la stima sociale degli insegnanti?
Innanzitutto parlandone bene, ringraziandoli. Quando i miei nipoti, mi parlano di quello che fanno i loro insegnanti sento per loro una riconoscenza infinita.
Ma anche garantendo ai docenti maggiori compensi?
Sì, ma il compenso deve crescere per tutti. Con il contratto collettivo dovremmo aumentare la remunerazione media dell’insegnante del 20-30% a tutti. E non utilizzare il fondo incentivante per le ‘cime’. Perché questo meccanismo non funziona.
Però si sta andando verso l’aumento per pochi, tramite contrattazione di singolo istituto che premia i meritevoli…
Non mi trova d’accordo. L’aumento del salario deve essere riconosciuto per tutta la classe docente. Poi, si può lasciare un 5% per dare qualche forma di premio.
A ben vedere, un insegnante italiano a fine carriera guadagna la metà di un collega tedesco…
Non c’è solo questo: un top manager guadagna in un’ora quello che un insegnante percepisce in un mese. E non va bene: un mondo così non è sostenibile, significa minare il patto sociale. Dobbiamo riequilibrare le remunerazioni dei lavori.
È un fattore più culturale o più politico?
Tutte e due. Da 30-40 anni abbiamo assistito ad un’invasione della cultura del business. Anche la scuola ha ceduto e questi sono i risultati.
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