Dal 2012 continua a diminuire il numero degli artigiani presenti in Italia, scendendo di quasi 325 mila unità (-17,4%). Un lieve aumento si è registrato nel 2022 rispetto all’anno precedente.
A descriverlo l’Inps: nel 2022 si contavano 1.542.2991 artigiani e dunque – in base a un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia – i giovani, e non solo, sembrano non interessati a lavorare in questo settore e chi lo ha esercitato, ma non ha ancora maturato i requisiti per andare in pensione, spesso preferisce chiudere la partite Iva e lavorare come dipendente perché si sente più tutelato.
Intanto scompaiono le botteghe che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri mentre si espandono quelli del benessere e dell’informatica: acconciatori, estetisti, tatuatori e poi i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media.
L’aumento di queste attività, tuttavia, è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico.
Le cause di questo ‘crollo’, secondo la Cgia, sono l’insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e il commercio elettronico a parte il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali.
In ogni caso si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. A parte carpentieri, posatori e lattonieri ormai quasi introvabili.
Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”.