L’alto numero di studenti che lascia gli studi prima di conseguire il titolo di studio (circa il 13%) non riguarda solo la scuola secondaria, ma anche l’Università. Anzi, gli studenti oltre la maggiore età sono ancora più inclini ad abbandonare i libri anzitempo: nell’ultimo decennio tra il 2011/12 e il 2021/22, la percentuale del tasso di abbandono degli studi universitari è passata dal 6,3% al 7,3%.
Gli universitari del sesso maschile che si perdono per strada sono addirittura in misura maggiore: ammontano, in media, al 7,4%. Mentre tre le donne si attestano al 7,2%.
I dati, forniti da La Repubblica sulla base di una elaborazione statistica pubblicata dal ministero dell’Università e della Ricerca nella sezione on line Open Data, non sono di poco conto. Perché va considerato che nell’ultimo biennio anche le immatricolazioni (complice l’aumento delle tasse d’iscrizione e probabilmente anche l’aumento degli affitti per i fuori sede) si sono ridotte di ben il 5%.
È indicativo anche il dato che l’abbandono spesso si realizza poi al primo anno di Università, quando “molla” già il 7.1% di neo-iscritti (dati 2020/21).
Secondo Intesa Sanpaolo, inoltre, dei 120 mila laureati italiani che sono andati all’estero nell’ultimo decennio, i due terzi, ben 80.000, non sono rientrati.
Camilla Piredda e Simone Argutoli dell’Unione degli universitari ritengono che non esista “una causa unica per l’abbandono universitario, ma sono molte: la mancanza di programmi di orientamento e di tutorato, l’assenza di supporto psicologico, un ambiente universitario che non sempre risulta così attrattivo, difficoltà economiche e la mancanza di prospettiva lavorativo”.
Le rappresentati dell’Udu ricordano che “in molte regioni italiane, se uno studente al primo anno decide di cambiare il proprio corso di studio, non potrà più avere la borsa di studio per gli anni successivi. Tutti questi elementi contribuiscono a creare demotivazione, ansia, frustrazione. Sull’anno accademico 2021/2022 cui si riferiscono le ultime statistiche, sicuramente ha impattato la presenza della didattica a distanza: il 33,4% degli studenti che hanno avuto un atteggiamento di scetticismo nei confronti della Dad ha pensato di abbandonare gli studi”.
Stando così le cose, le due studentesse sostengono che “è troppo facile chiamare ‘bamboccioni’ e ‘chiedere sacrifici’ agli universitari, dicendo che bisogna arrangiarsi, fare il pendolare per due ore, fare un lavoro per arrivare a fine mese, andare per forza nell’ateneo più vicino a casa. A tutti quelli che hanno detto queste cose, un invito a riflettere sul fatto che i pendolari a lunga percorrenza e gli universitari in difficoltà economica sono tra i profili che abbandonano più facilmente gli studi”.
“Se non metto lo studente in condizione di svolgere il proprio percorso di studio in modo dignitoso e tranquillo, poi non stupiamoci se registriamo un tasso di abbandono pari al 7,3%”, concludono Piredda e Argutoli.
Esattamente un anno fa l’Istituto di ricerca Ires dell’Emilia Romagna realizzò l’indagine “Chiedimi come sto“ (durata un mese e con 30mila studenti delle scuole superiori e universitari coinvolti), promossa dalla Rete degli studenti medi, dall’Unione degli universitari e dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil.
Dallo studio emerse che la didattica a distanza avrebbe prodotto tra i giovani che l’hanno praticata fenomeni non indifferenti di ansia, paura, preoccupazione per il futuro, aumento dei disturbi alimentari e degli episodi di autolesionismo: ben nove studenti su dieci hanno manifestano un forte disagio, sfociato in alcuni casi anche in importanti criticità psicologiche che hanno minato la salute mentale.
Dall’indagine risultò anche che la volontà di lasciare gli studi è molto più marcata all’università (33,7%) rispetto alle scuole superiori (22,7%).
Le più a rischio sono le Facoltà scientifico-tecnologico (34,8%) e umanistico-sociale (34,5%).
I più inclini ad abbandonare i corsi universitari sarebbero gli studenti cosiddetti “non binari”, ovvero fuori dal binarismo di genere (46,4%), extra-Eu 27 (33,5%), delle regioni del Sud (29,7%) e delle Isole (28,1%), ma anche studenti che frequentano la scuola o l’università in una provincia (32%) o regione diversa da quella di residenza (32,8%) e che impiegano più di 60 minuti per raggiungerla (34,3%).
Più inclini all’addio agli studi sarebbero anche gli studenti che hanno entrambi i genitori con al massimo la licenza media inferiore (34,4%), con i genitori entrambi non occupati (39,8%), e che hanno vissuto un peggioramento della propria condizione economica (35,2%).
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