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Al “Berchet” di Milano si discute sul voto di profitto: meno di 4 è frustrante

A parte la fama che insegue il liceo milanese, dove si sono diplomati personaggi illustri (Luchino Visconti, Andrea De Carlo,Giuliano Pisapia), il dibattito che si è aperto su istanza del preside, Innocente Pessina, in vero è una vecchia questione che già ha percorso molti altri collegi di docenti di tante scuole, magari meno famose ma altrettanto “sensibili”: che senso ha mettere voti negativi più bassi del 4? E’ sempre una insufficienza e sempre, se non si migliora, è motivo di bocciatura. E allora perché mettere 1, 2 o 3 come voto di profitto?
Dice il preside milanese: “Escludere, in sede di scrutinio, i voti inferiori al 4. I due e i tre creano troppa frustrazione nei ragazzi”. E poi aggiunge, rivolgendosi al collegio, che ha tuttavia preferito saggiamente demandare la propria opinione a dopo le feste pasquali:  “Ho visto troppi ragazzi andare in crisi per una raffica di due. Alcuni smettono di mangiare, altri abbandonano la scuola distrutti. Sì, sono diversi da come eravamo noi. Cerchiamo di capirli”.
Una proposta che sicuramente divide le coscienze e le esperienze dei docenti, tanto che qualcuno ha commentato:  “Prima di tutto la norma dice che i voti vanno dall’uno al dieci. Secondo: il giudizio in sede di scrutinio è espresso dal consiglio di classe, non dal singolo prof. Terzo, dire che in questo modo si riduce la depressione dei ragazzi è un alibi”. 
E qualche altro:  «La frustrazione è un’esperienza che va fatta proprio da adolescenti. In realtà il problema sono gli adulti». 
A cui però rispondono i favorevoli (e noi siamo fra costoro): “Inutile accanirsi. Che senso ha umiliare gli studenti con un due meno meno?”.

Pasquale Almirante

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