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Al Senato da oggi la devoluzione al traguardo finale

Comincia oggi al Senato la maratona di venti ore che si concluderà con l’approvazione definitiva della legge di riforma costituzionale che introdurrà la devolutione. Il sì definitivo è previsto, in diretta televisiva, domani sera entro le venti. Sono previsti, come è fin troppo noto,momenti di acceso dibattito e di tensione. La posta in gioco, come dimostrano i fatti di questi ultimi anni, è troppo alta.
Nonostante l’attenzione dell’opinione pubblica sia stata concentrata su taluni degli aspetti della riforma, quelli che attengono ai compiti e ai ruoli del Capo dello Stato, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Consiglio Superiore della Magistratura ecc., è innegabile che anche tutto il sistema scolastico italiano si trovi di fronte ad un appuntamento di importanza straordinaria.
Questo nonostante che la maggior parte degli operatori del mondo della scuola, tra i primi i dirigenti scolastici e gli insegnanti di tutti gli ordini – distratti da altri interessi o solo disattenti delle reali condizioni delle innovazioni che stanno entrando prepotentemente nel tessuto secolare della vita scolastica – non si stia accorgendo del fatto che la tanto enfatizzata devolutione darà il colpo di grazia alla già traballante scuola italiana.
Come dovrebbe essere ormai fin troppo noto, con l’approvazione definitiva della legge che, attese la forza della maggioranza parlamentare e l’impotenza della minoranza, è sicuramente scontata, sanità, sicurezza e scuola saranno gli ambiti che verranno completamente rivoluzionati.
Specificamente:  la scuola italiana perderà il suo carattere unitario. Non avremo più un sistema scolastico italiano, ma tante scuole quante saranno le realtà regionali e sub-regionali.
Già oggi lo Stato ha solo poteri limitatamente alle linee di indirizzo generale essendo state dalla legge di riforma costituzionale approvata nel 2001 attribuite tutte le competenze agli enti locali. Prime tra tutte le Regioni.
Con la devolutione che da domani diverrà legge, essendo passata in seconda lettura dall’esame del Parlamento, la frammentazione regionale della scuola farà venire meno l’unità della stessa cultura che tutto sommato fino ad oggi aveva rappresentato l’identità del popolo italiano.
La frammentazione, per altro, fa emergere l’anacronismo della realtà italiana rispetto agli altri Stati i quali, avendo già pagato lo scotto dell’eccessivo localismo, oggi stanno facendo marcia indietro e sono impegnati a riconfermano la validità di una statualità più forte.
Sarà un grosso rischio lasciare alle Regioni, e per loro delega ad altri enti locali minori, la definizione dei curricoli, l’identificazione degli standard di apprendimento e di qualità, l’elaborazione dei programmi ecc. funzioni che, non v’è chi non veda, dovrebbero essere e restare prerogative dello Stato pur con tutte le innovazioni dettate dalle recenti trasformazioni socio-culturali attuali.
Sono fin troppo noti i guasti della sanità italiana, un ambito già da anni gestito dalle autonomie locali, tanto che al momento abbiamo sanità di serie A e sanità di serie B. Tante volte persino di serie inferiori. Con tutte le conseguenze sul piano dell’affermazioni dei diritti dei cittadini italiani che per il solo fatto di risiedere in una anziché un’altra regione hanno maggiori o minori probabilità di curarsi e di…sopravvivere.
Al momento sono pochissimi gli operatori scolastici italiani – il riferimento è a quelli che sono preoccupati del destino degli alunni e non imbevuti di ideologie – disposti a scommettere che la devolutione che da domani sera sarà legge dello Stato migliorerà effettivamente la scuola italiana nell’interesse esclusivo dello sviluppo della personalità dei cittadini italiani e della crescita della futura società democratica.
Per avere validità a tutti gli effetti, tuttavia, la legge che domani sera sarà approvata dovrà essere sottoposta a referendum confermativo, stabilito per il prossimo giugno. Questo perché sarà approvata a maggioranza e non a maggioranza dei due terzi come previsto dalla vigente Costituzione.
 
Giuseppe Guzzo

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