Al Sud e nelle Isole troppi alunni lasciano la scuola prima del tempo: la conferma giunge dalla Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, attraverso il rapporto 2018 presentato giovedì 8 novembre nella Sala della Regina a Palazzo Montecitorio.
“Oggi in Italia quasi 600 mila giovani, pur avendo al massimo la licenza media, restano fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale”. Nel Mezzogiorno, ha rilevato, “sono circa 300 mila (299.980) i giovani che abbandonano, il 18,4%, a fronte dell’11,1% delle regioni del Centro-Nord”.
“E i valori più elevati si registrano per i maschi, addirittura il 21,5% nel Sud. Se, però, nel Centro-Nord il mancato proseguimento degli studi si accompagna a un numero più consistente di giovani occupati, nelle Regioni meridionali gli occupati usciti precocemente dagli studi sono una minoranza (22% a fronte del 42% del Centro-Nord nel 2017)”.
Il tasso di scolarizzazione dei 20-24enni al Sud è “notevolmente inferiore” rispetto al Centro-Nord “a causa di un rilevante e persistente tasso di abbandono scolastico”.
“Permangono – scrive la Svimez – forti divari all’interno del sistema scolastico meridionale anche sul piano della qualità dell’apprendimento. I dati più allarmanti riguardano i due estremi del sistema formativo: gli asili nido e l’istruzione superiore. Per quanto riguarda gli asili nido, sul dato incide molto la disponibilità di servizi per sostenere le famiglie, che nel Sud sono precari e inefficienti. A cui si aggiunge una carenza di asili nido pubblici e un alto costo di quelli privati”.
Ma “particolarmente preoccupante è che, se quasi un quarto dei giovani italiani non raggiunge la soglia di competenze minima per entrare a far parte della società a pieno titolo, nelle Regioni meridionali questa percentuale arriva attorno a un terzo”.
“La qualità degli apprendimenti diminuisce in maniera sensibile a mano a mano che ci si sposta da Nord a Sud. Su questo dato influiscono la maggiore o minore anzianità del corpo docente, la sua precarietà, l’apporto degli enti locali sui servizi alla scuola. Nel Mezzogiorno sono presenti livelli qualitativamente inferiori, dai trasporti, alle mense scolastiche, ai materiali didattici”.
“Sul tasso di apprendimento al Sud pesa anche il contesto economico-sociale e territoriale: la disoccupazione, la povertà diffusa, l’esclusione sociale, la minore istruzione delle famiglie di provenienza e, soprattutto, la mancanza di servizi pubblici efficienti influenzano i percorsi scolastici e l’apprendimento”.
“A partire dagli anni ‘90 la partecipazione all’istruzione universitaria è aumentata sensibilmente nel nostro Paese, ma dal 2004-05 il trend crescente si è invertito, per poi risalire nell’ultimo triennio”.
E ancora: “il tasso di passaggio all’università degli studenti italiani che aveva raggiunto il 73,2% nei primi anni Duemila, ha iniziato a flettere restando intorno al 70% fino al 2005-2006, per poi declinare sempre più decisamente, soprattutto nel Mezzogiorno.
“Come sottolineato dalla Svimez nei suoi Rapporti sin dal 2010, il Sud si caratterizza per una grande crescita della migrazione intellettuale e per un numero crescente di giovani che vanno a studiare in università del Centro-Nord. Oltre alla perdita di capitale umano questo fenomeno ha due implicazioni: una minore spesa per consumi privati, che è in diminuzione al Sud; una minore spesa per istruzione universitaria da parte della Pubblica Amministrazione”.
“Nell’anno accademico 2016/2017, i giovani del Sud iscritti all’università sono circa 685 mila circa, di questi il 25,6%, studia in un ateneo del Centro-Nord. La quota, invece, di giovani residenti nelle Regioni del Centro-Nord che frequenta un’Università del Mezzogiorno è appena dell’1,9%”, conclude l’associazione.
Nella stessa giornata, suonano come un richiamo a trovare una soluzione dinanzi a questi numeri, le parole pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Parlando alla cerimonia di consegna delle insegne di Cavaliere dell’ordine “Al Merito del Lavoro”, il Capo dello Stato ha detto che “per una crescita del Paese è indispensabile l’apporto della scuola, dell’università, della formazione, della ricerca. La crescita delle conoscenze è sempre stata un vettore di sviluppo, oggi forse lo è più che in ogni altro momento della storia”.
“Questo vuol dire che la formazione deve avere un carattere permanente, tale da dare sostanza, e garanzie, a una società in movimento. Purtroppo la mobilità sociale è fortemente ridotta, le fasce di opportunità si stanno irrigidendo, non soltanto in Italia, e questo penalizza tutti. L’apporto dei giovani, con le loro aspirazioni e la loro creatività, è irrinunciabile per un Paese che voglia guardare al futuro. E l’apporto dei giovani è legato alla qualità della scuola”.
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