Con una lectio magistralis tenuta l’altro ieri a Pieve Tesino, città natale dello statista trentino, Marta Cartabia, presidente della Corte Costituzionale, ha voluto rendere omaggio ad Alcide De Gasperi, a 66 anni dalla scomparsa.
Ha reso omaggio al politico della “ricostruzione”, a chi, cioè, ha ridato senso e dignità ad un Paese uscito dalla grande tragedia della guerra voluta da Mussolini.
Ecco, il verbo “ricostruire” è stato il filo conduttore che ha permesso alla Cartabia di riannodare il tempo di De Gasperi col nostro presente, nei fatti oggi sfibrato prima che dalla pandemia da una politica che naviga lontana dai lidi di una moralità pubblica fatta di verità, di solidarietà, di reali pari opportunità.
Con un ceto politico che si autogarantisce attraverso una selezione della classe dirigente nella quale al primo posto troviamo la fedeltà al leader di turno, lasciando ai margini la competenza e la capacità di responsabilità.
Credo, per queste ragioni, che l’attuale bailamme politico stia non solo stancando, ma, al tempo stesso, richiedendo a gran voce riferimenti e personalità di altro spessore, non il potere per il potere, cioè il piccolo cabotaggio.
Perché la politica, in sostanza, non può limitarsi al solo “dimmi quello che vuoi sentirti dire”, ma pretenda pensieri lunghi, prospettive concrete, speranze condivisibili per tutti.
Se penso, perciò, alla crisi della politica e dei politici di oggi, subito il pensiero va a personalità del passato che, lo possiamo dire, rimangono dei punti di riferimento, a livello di etica individuale, al di lá delle differenze ideologiche e di contesto. Punti di riferimento di un passato che oggi, però, è senza eredi, al di lá di sigle e partiti vecchi o nuovi.
Sono passati 66 anni dalla sua morte (avvenuta il 19 agosto 1954 a Sella di Valsugana), eppure rispetto ai politici di questi ultimi anni, soprattutto di quelli di oggi, Alcide De Gasperi appare di un altro mondo, non solo di un’altra epoca: sobrio, capace di verità, coraggioso, coerente. Non vincolato all’apparire, alla comunicazione, con gonfiati uffici stampa, portavoce e segreterie particolari.
Che cosa aveva di particolare, mi sono spesso chiesto, un De Gasperi rispetto ai nostri politici? È solo un dato generazionale?
Ovvia la risposta: la generazione di De Gasperi, compresi gli avversari politici di allora come Nenni, Togliatti, Saragat, ma anche Dossetti (che si dimise dalla politica nel 1951, proprio in contrasto con De Gasperi) erano stati temprati dalla “sofferenza”, cioè della fatica di vivere. Non solo per la dominazione fascista, non solo per la guerra. E le ideologie erano tentativi di risposta ideale, cioè con pensieri lunghi, oltre il proprio presente storico e gli inevitabili interessi di parte.
Tanto da dire: “La differenza fra un politico ed uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni”.
Parole che metterebbero in crisi non solo i politici, ma anche le sigle sindacali e le corporazioni di vario colore.
Oggi tutti lo riconoscono, De Gasperi è stato un politico lungimirante. Perchè ha saputo accompagnare il nostro dopoguerra con decisioni coraggiose, senza puntare alla autosufficienza, ma cercando la più ampia partecipazione. Pur ottenendo il 18 aprile 1948 la maggioranza assoluta dei seggi, col sistema proporzionale, volle comunque un governo di coalizione, cioè la più ampia condivisione possibile.
Uno statista coraggioso, tanto da incontrare, da leader cattolico, anche la freddezza di Pio XII. E nello stesso tempo consapevole che solo con una chiara politica di alleanze occidentali poteva consentire all’Italia di uscire dal dramma della guerra: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me; e soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione…” (storico discorso del 10 agosto 1946, di fronte ai vincitori, nella Conferenza di pace di Parigi).
Non solo l’alleanza occidentale, ma in una nuova Europa, unita, indipendente, frontiera di libertà contro i nuovi totalitarismi.
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