Il 16 marzo 1978, Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristina, verso le 9 del mattino, veniva sequestrato da un commando delle Brigate Rosse in via Fani a Roma. Un commando blocca le auto del presidente Dc, uccide i 5 uomini di scorta e porta via Moro su una Fiat 132 blu.
A rivendicare l’azione sono le Brigate Rosse con una telefonata all’ Ansa. Tutta la Nazione, appena viene a conoscenza del sequestro, rimane sconcertata di fronte a tanta efferatezza, sia per la strage che è stata compiuta e sia sui motivi del rapimento di Aldo Moro, che si concluderà 55 giorni dopo, il 9 maggio, con l’uccisione dello statista.
Furono giorni convulsi quelli che seguirono, anche perché si stava preparando un nuovo governo, guidato da Moro e con l’apporto del Partito Comunista di Enrico Berlinguer. Dunque apparve subito chiaro che quell’azione voleva bloccare un avvenimento storico, quello dello sdoganamento dei comunisti che, nonostante rappresentassero la seconda forza politica d’Italia, erano rimasti dal 1946 in poi sempre all’opposizione.
Dunque il PCI avrebbe concorso direttamente alla maggioranza parlamentare che avrebbe sostenuto il nuovo esecutivo e il cui artefice principale era stato proprio Aldo Moro, reduce da dure battaglie all’interno del suo partito per fare passare la sua linea.
In ogni caso viene costituita una Commissione bicamerale, mentre la Procura di Roma apre un fascicolo.
Intanto una ridda di eventi si susseguono, compresa una dichiarazione dell’ex capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, che ai magistrati raccontò di un suo possibile intervento per salvare lo statista e viene pure chiamato Steve Pieczenik, psichiatra americano ed esperto di terrorismo, a fare parte del comitato di crisi presso il Viminale.
Intanto la “bicamerale” focalizza la sua attenzione verso l’area di via Licinio Calvo dove i brigatisti, dopo il blitz di via Fani, lasciarono le auto utilizzate per sterminare gli agenti di scorta e prelevare l’allora presidente della Dc.
Nel maggio 1978, pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il Vaticano era pronto a pagare fino a dieci miliardi di lire per la liberazione del presidente della Dc.
Le banconote – mazzette di dollari, con fascette di una banca ebraica – erano su una consolle nella residenza pontificia di Castel Gandolfo e furono mostrata da papa Paolo VI a monsignor Cesare Curioni, responsabile dei cappellani carcerari, il quale aveva attivato contatti per la liberazione di Moro.
Ma da qui un’altra domanda: da dove provenivano tutti quei soldi? Fra l’altro nessuno poi ha saputo dire che fine abbiano fatto.
Ma non solo, mentre i socialisti di Bettino Craxi premevano affinché lo Stato accettasse lo scambio fra alcuni brigatisti in carcere con la vita di Aldo Moro, quasi tutta la DC e il PCI si batterono per la cosiddetta “linea dura” e dunque della intransigenza e della non trattativa con criminali.
Oggi dunque ricordiamo quel giorno a distanza di 42 anni. Un anniversario di quella che è passata alla storia come “strage di via Fani” che, non potendosi celebrare con una cerimonia ufficiale a causa dell’epidemia, anche la nostra Testata ha voluto ricordare, considerato pure che, senza quella efferatezza, la storia del nostro Paese avrebbe avuto un percorso profondamente diverso.
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