“Per il Movimento 5 Stelle la scuola italiana deve essere pubblica e statale, gratuita, democratica, aperta, inclusiva e innovativa. Vogliamo promuovere la costruzione di una società aperta e solidale, ispirata ai valori di umanità, uguaglianza, tolleranza e civiltà su cui si fonda la nostra Costituzione”. Lo afferma il M5S in un post sul blog di Beppe Grillo, annunciando la consultazione online sul Programma Scuola.
Questa dichiarazione presuppone due certezze, da parte di chi la esprime, evidenziate dai due corsivi:
a) il genitore è considerato, dallo Stato, incapace di intendere e di volere, poiché è lo Stato stesso che si sostituisce al compito di educare, spettante per diritto naturale alla famiglia; il diritto di apprendere spetta al bambino, al giovane senza alcuna discriminazione (art. 26 ONU). Alla famiglia spetta la responsabilità educativa, che non può esercitarsi senza libertà di scelta e che domanda pertanto un pluralismo formativo fatto di buone scuole pubbliche statali e buone scuole pubbliche paritarie.
b) gli estensori non considerano che oggi un alunno della scuola pubblica statale costa al contribuente in media quasi 7.000,00 euro all’anno, per una spesa totale di 56 miliardi di euro; per la scuola pubblica paritaria lo Stato investe invece 499,00 euro per allievo per un totale di 500 milioni annui, a fronte di un risparmio di 6 miliardi di euro all’anno, che ottiene da questo investimento. Chiunque può controllare la veridicità di queste cifre attraverso i dati del MIUR e della Corte dei Conti.
Dal 1948 la famiglia italiana attende la garanzia del diritto alla libertà di scelta educativa. I genitori privi di mezzi non possono scegliere la buona scuola pubblica paritaria, come invece avviene nel resto d’Europa, perché non possono pagare due volte (tasse allo Stato e retta per la scuola). Lo Stato, pur avendo le premesse giuridiche per favorire la libertà di scelta educativa – «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini» (Cost. art. 3) – non ha ancora operato in tal senso. Va riconosciuto che il finanziamento pubblico si fonda sul diritto educativo della persona e sul dovere della Repubblica di garantirlo e assicurarlo concretamente.
In Italia restano inapplicati due diritti fondamentali, la libertà di scelta educativa e la libertà di insegnamento. È mancata infatti la consapevolezza che, con l’approvazione della legge 62/2000, non si è concluso il percorso legislativo voluto dai Costituenti con l’art. 30 e 33, commi 3 e 4 relativi alla parità scolastica. Manca ancora il passaggio più naturale e coerente, quello economico: un diritto senza applicazione è un falso. Il Parlamento Europeo ha richiamato più volte l’Italia su questa contraddizione (risoluzione 14/3/1984, art. 7).
Per superare il paradosso è opportuno chiarire, anzitutto, che “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico” (che svolge, cioè, un servizio rivolto a tutti i cittadini) non necessariamente è “statale”. «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali» (Cost. art. 33, comma 4). Comprendendo la “scuola paritaria” tutte le scuole “non statali” che assolvono i requisiti previsti dalla legge 62/2000, la gestione può essere, infatti, in capo ad Enti pubblici, come i Comuni o altri Enti Locali, oltre che a singoli, enti o società private. La scuola paritaria rappresenta la “seconda gamba” del Sistema Scolastico Nazionale Integrato; diversamente esso non si potrebbe definire tale, ma sarebbe un Sistema Scolastico Nazionale Statale, e dunque privo di libertà di scelta educativa.
Un aspetto interessante è che le rette versate dalle famiglie che scelgono la scuola paritaria sono di gran lunga inferiori alla corrispondente spesa pubblica sostenuta dallo Stato per un allievo della scuola statale, segno che quest’ultima è vittima di uno spreco mostruoso, che sarebbe solo aggravato dalla eliminazione delle paritarie: lo Stato non riceverebbe più i 6 miliardi di euro che le pubbliche paritarie gli procurano annualmente, a fronte di un investimento di 500 milioni di euro.
Alla luce dei dati analizzati, il costo standard di sostenibilità per studente, fattore di efficienza e di efficacia, si riconferma come il solo anello mancante che, consentendo alla famiglia di scegliere, può innescare una sana concorrenza tra le scuole, senza sprechi, sotto lo sguardo garante dello Stato.
Il costo standard, riconosciuto come spettante alla persona e alle famiglie (che lo assegnano alla scuola prescelta) si fonda sul “diritto inviolabile” della libertà di scelta educativa.
L’unico percorso che la situazione suggerisce prevede:
Il costo standard sostenibile si fonda sul diritto dei genitori all’educazione. Finora lo Stato Italiano ha ritenuto di garantire il diritto dei cittadini all’educazione attraverso la scuola pubblica statale, come si è visto, erroneamente considerata gratuita. Dal momento però che, per evitare il regime, la Costituzione prevede anche scuole pubbliche anche non statali, attualmente inaccessibili ai poveri (qualche rampollo pentastellato se la può permettere), la scuola statale si configura come “un’imposizione obbligatoria senza alternativa” e viene di fatto lesa la libertà di scelta educativa che ogni Stato democratico dovrebbe assicurare. Solo chi è ricco può scegliere.
Numeri alla mano qualsiasi cittadino può comprendere che la questione è molto più complessa e non è certamente tagliando qui centesimi per gli studenti della scuola paritaria che si aiutano gli studenti della scuola statale. Dobbiamo guardare ai cittadini come soggetti liberi e pensanti. Non serve a nessuno scendere in piazza e continuare ad attaccare tutto e tutti senza sapere ciò di cui si parla, cavalcando i malumori (troppo semplice quanto irresponsabile). Parlo ai cittadini, che reputo seri e capaci di invocare istituzioni responsabili, istituzioni che negli anni di Aldo Moro, Dossetti, Gramsci, Codignola, Pertini, Borsellino e Falcone e molti altri ancora sapevano riconoscersi un ruolo di servizio.
Governare una Nazione domanda scienza e competenza, oltre ad una buona dose di buon senso.
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