Qui è tutto sbagliato, qui è tutto da rifare! L’aforisma più utilizzato dal mitico e “giusto” Gino Bartali risulta forse il più adatto per giudicare lo stato della scuola pubblica italiana: una scuola, ci dice oggi la Commissione europea, fatta di insegnanti avanti negli anni, i più vecchi d’Europa, molti “prossimi alla pensione”, di docenti donne relegate ai gradi d’istruzione inferiori, e investimenti “nettamente inferiori” alla media. Insomma, per il nuovo ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, la strada appare davvero in salita.
Secondo la Commissione Ue, nel 2017 oltre la metà (58%) dei docenti della scuola primaria e secondaria aveva più di 50 anni (contro il 37% nell’Ue) e il 17% superava i 60 anni (contro il 9% nell’Ue).
La percentuale dei docenti prossimi alla pensione è dunque “elevata” e “nei prossimi 15 anni una media di 3,8% docenti all’anno potrebbero ritirarsi”, ha scritto Bruxelles nel rapporto nazionale.
Anche sull’altissima presenza di donne docenti, c’è qualcosa che non torna.
L’Italia detiene, infatti, ha una delle più alte percentuali di insegnanti donne tra gli Stati membri, solo che la loro presenza diminuisce con l’aumentare del grado di istruzione, trend che si ripete anche in Ue.
Nel 2016 le insegnanti donne erano il 99% nella scuola materna, il 63% nella secondaria superiore e il 37% nelle università.
Ma è sugli investimenti nell’istruzione (il 3,8% del Pil e il 7,9% della spesa pubblica totale) che si regista il gap maggiore rispetto agli altri Paesi moderni del vecchio Continente.
In Italia, gli investimenti, purtroppo, sono inferiori alla media Ue (4,6% del Pil), in particolare per quella superiore. Una condizione che si riflette anche sugli stipendi dei docenti e Ata, anche questi tra i più bassi nell’area Ue, dopo i Paesi dell’Est e la Grecia.
A pesare negativamente è soprattutto la formazione post-diploma. Se la quota di Pil investita dall’Italia nell’istruzione primaria e secondaria è infatti quasi in linea con la media Ue, la spesa per l’istruzione terziaria è la più bassa dell’Ue: solamente lo 0,3% del Pil nel 2017 (contro lo 0,7% dell’Unione europea).
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