Da chi sono composte le baby-gang? Intanto non hanno codici di comportamento, se non la violenza che è divertimento e il divertimento merita di essere ripreso e pubblicato su tutti i social. Ragazzini di età compresa dai 13 ai 18 anni, capaci di tutto: dall’assalto per un regolamento di conti a lotte fra bande con sparatorie.
Secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Adolescenza il 6-7% degli under 18 vive esperienze di criminalità collettivo e, dai dati riportati dal Ministero della Giustizia, il trend sembra in ascesa vertiginosa. I ragazzi affidati all’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, secondo quanto riporta Linkiesta, sono al 15 giugno 2019 circa 18 mila, contro i 21.268 totali del 2018, e i 20.466 nel 2017. La percentuale vede delinquere maggiormente i minori italiani (13 mila) di quelli stranieri (4.651), con una prevalenza di genere tutta al maschile.
Il numero dei reati commessi da minori e giovani adulti in questa prima parte dell’anno aggrava lo spessore dell’emergenza: sono 46.802 tra omicidi volontari (106), sequestri di persona (173), violenze sessuali (940), spaccio di stupefacenti (5.494) e via dicendo.
Gli ingressi nelle carceri minorili sono comunque 720, rispetto ai 1.132 del 2018, mentre, secondo il Viminale, sono cresciuti gli omicidi commessi da under 18, passando dal 3% del 2015 al 3,64% del 2017.
Del resto, a distinguerle dalle mafie adulte, le baby-gang non hanno riti di iniziazione ad hoc e prendono vita proprio all’interno di quelle strutture che dovrebbero fare da scudo a certi tipi di realtà. Tutto nasce tra i banchi di scuola: si assapora la fama suscitata nei simili per l’ingiustificata ferocia degli atti di bullismo, per poi, una volta consolidato il cerchio di appartenenza, applicarlo senza limiti alcuni all’esterno.
Non è un caso se gli abbandoni scolastici dei giovani dai 18 ai 24 anni sono superiori di 4 punti percentuale alla media Ue (14% contro il 10,6%), con una propensione più consistente nel Mezzogiorno. Le regioni come Calabria, Campania, Lazio e Sicilia sono quelle con il numero più alto di minori problematici, le cui storie hanno un epilogo pressoché simile: l’abbandono dello studio è seguito dalla ricerca di un lavoro, fondamentale per i bilanci familiari, il quale spesso e volentieri porta a commettere atti di devianza minorile.
La situazione di Bologna, però, dove per esempio il tasso di abbandono scolastico è molto basso, fa luce su una nuova trasformazione del fenomeno: “Oggi non dobbiamo più andare a cercare la violenza dentro condizioni particolarmente svantaggiate o pensare a ragazzi con dei profili a rischio ben evidenti e conclamati”.
In questo capitolo tutto italiano, la situazione degli stranieri lancia tuttavia segnali poco rassicuranti. L’abbandono nella scuola secondaria di I grado corrisponde al 3,3% (contro lo 0,6% degli italiani) e nella scuola secondaria di II grado la percentuale sale addirittura all’11.6% (contro il 3.8%). La dispersione e il complicato monitoraggio rendono i dati deboli, evidenziando una tendenza a delinquere in particolare nei minorenni provenienti da Marocco e Albania, per totale a metà 2019 di 4.651 giovani in stato di fermo contro i 5.522 del 2018.
Nuovi affiliati muniti non di armi ma di smartphone: senza remora e con la totale distorsione di quella traccia innocua lasciata dagli intoccabili di “Ci hai rotto papà”. Nessun gioco, nessuna burla; sangue e pugni hanno preso il posto di partitelle sotto casa e ginocchia sbucciate, lo smartphone quello degli abbracci dei compagni e delle strigliate delle madri.
Un’aridità formativo-educativa scatena “l’effetto branco” nei giovani e fermare tale violenza, spesso, risulta essere impossibile.
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