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Allentare la morsa soffocante dei social grazie ad attività culturali: il “Piano Adolescenza” del Comune di Bologna

Abbiamo parlato, in questi giorni, delle azioni intraprese dal Comune di Bologna per implementare e rendere operativo il “Piano adolescenza”, con cui intende portare avanti le sue politiche educative a favore dei ragazzi e delle ragazze, favorendo un’azione coordinata e integrata tra tutti gli attori che sul territorio, a vario titolo, si occupano di loro.

Nel suo documento, “Radicalmente adolescenti”, il Comune elenca, spiegandoli nel dettaglio, i dieci ambiti in cui le istituzioni politiche locali, gli enti, le associazioni del terzo settore si investiranno per il raggiungimento dell’obiettivo previsto dal Piano: mettere a sistema le tante realtà e professionalità che operano nel mondo dell’educazione per offrire a tutti i ragazzi della città opportunità, strumenti, risorse, spazi in cui crescere, formarsi, stare bene insieme.

Vorremmo qui, in particolare, soffermarci ad analizzare il punto 9 di questo imponente Piano: Sostenere il welfare culturale per adolescenti e giovani.

Nella parte esplicativa del titolo, si legge che “anche attraverso il sostegno e la valorizzazione delle attività dei tanti operatori culturali del Terzo Settore e delle imprese culturali e creative, verranno avviate esperienze integrate nei teatri, musei, biblioteche, attraverso rassegne e festival musicali e con declinazioni digitali, arti visive, urban art, gaming e danza”.

Ci sembra, questo, un punto cruciale, di notevole importanza strategica. Oggi, ci dicono le cifre OCSE, il 23,1% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni non è occupata, né inserita in un percorso di istruzione o formazione. Sono i cosiddetti NEET, ragazzi di cui, in pratica, si sono perse le tracce. Secondo altri dati recenti forniti dall’Istat, l’85% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni usa quotidianamente il telefonino; il 72% naviga su internet tutti i giorni, con una media che va dalle tre alle sei ore di connessione al giorno. Il rischio di sviluppare una dipendenza è, dunque, alto. Proprio questo è il cuore dell’ultima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui “quasi 500mila adolescenti in Italia potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da Social Media, ed è diffuso anche il fenomeno dell’isolamento sociale (conosciuto come Hikikomori nella sua manifestazione clinica estrema), che riguarda l’1,8% degli studenti medi e l’1,6% di quelli delle superiori.”

Di fronte a queste cifre inquietanti, il punto 9 del Piano del Comune di Bologna ci sembra davvero importante, sia per prevenire che per “curare” la sbornia da social e da schermi, con la conseguente perdita di vista della realtà e degli altri che ci stanno attorno. A Bologna, infatti – come si legge sul documento di presentazione del progetto “i teatri della città diventeranno sempre più luoghi aperti verso l’esterno, spazi di ricerca e sperimentazione per adolescenti e giovani, ma anche luoghi dove conoscere e imparare i diversi mestieri che mettono in moto la complessa macchina teatrale. Nell’ambito dell’urban art, linguaggio artistico molto vicino al mondo dei giovani, saranno promossi progetti realizzati da realtà del Terzo Settore che nel processo di realizzazione dell’opera coinvolgono giovani e adolescenti dando loro gli strumenti per affrontare i temi della legalità e illegalità dell’opera pubblica”. E poi la musica, le arti visive, la promozione di progetti per lo sviluppo delle nuove professioni negli ambiti culturali e creativi.

Una task force messa in campo per fare in modo che smartphone e computer allentino la morsa che soffoca ogni giorno di più la vitalità, la progettualità e la voglia di stare insieme dei ragazzi e delle ragazze.

Gabriele Ferrante

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