Parte deciso e mirato il divieto della dirigente scolastica del liceo classico “Palmieri” di Lecce, rivolto sia agli studenti e sia ai prof e al personale, a non utilizzare un abbigliamento “adatto al mare o alla discoteca”, come “jeans strappati, top e ciabatte”, invece che alla scuola.
E a coronamento di tutto, la dirigente si riserva la facoltà di non ammettere a scuola chi non rispetterà queste “norme di comportamento”.
“Il Liceo Palmieri -scrive nella circolare la preside, come riporta Il Messaggero- ha tra i suoi obiettivi l’acquisizione di comportamenti e stili di vita rispettosi dei principi basilari di una convivenza civile. Il rispetto delle persone è la prima regola della nostra comunità.È dovere di ognuno di noi partecipare al miglioramento della vita scolastica con forte senso di responsabilità e senso civico, per garantire a tutti un ambiente accogliente, gradevole e salubre. Ciò premesso, vengono di seguito richiamate alcune norme di comportamento.
Il primo divieto riguarda “l’utilizzo dei telefoni cellulari durante le ore di lezione (così come nei corridoi, con la sola eccezione della ricreazione) risponde ad una generale norma di correttezza che tutti devono rispettare, perché il loro uso scorretto favorisce sia la distrazione di chi li usa e dei compagni, sia infrazioni lesive della privacy in caso di riprese inopportune o non autorizzate. Inoltre, ai sensi della normativa ministeriale in vigore, il loro uso improprio costituisce un’infrazione disciplinare, con conseguente applicazione della sanzione che il Consiglio di classe riterrà più opportuno irrogare e che sarà proporzionale alla gravità accertata, tenuto conto delle indicazioni del Regolamento Interno”.
E poi il colpo di grazia sull’abbigliamento: “È quanto mai essenziale che si mantenga un abbigliamento consono all’ambiente scolastico ed alla dignità dell’attività formativa che in esso si realizza.
Nell’ovvia considerazione che il concetto di decoro è suscettibile di inevitabile varietà interpretativa, la scrivente, senza voler limitare la libertà individuale, precisa che non potranno essere utilizzati pantaloni corti o pesantemente strappati, canotte, top, berretti, ciabatte ed ogni altro tipo di abbigliamento più consono ad ambienti e situazioni balneari. Si spera sia evidente e inequivocabile che il problema non sono i centimetri di pelle scoperta; si tratta piuttosto di rendere consapevolezza comune che ogni luogo e contesto richiedono ed esigono delle specificità estetiche e di immagine, cui non si dovrebbe mai derogare. Trattasi di rispetto per le Istituzioni e per le persone che vi portano un interesse. D’altronde, diviene sempre più diffusa anche tra gli adulti l’idea che quanto adatto per il mare o una discoteca possa esserlo per un ufficio pubblico, una scuola, un ambulatorio medico o perfino le corsie di un ospedale. Non è difficile imbattersi in adulti che mostrano di non conoscere le minime regole dell’opportunità e del decoro. Lo stesso accade con alcuni studenti e studentesse nelle scuole. Ma, come tutti riconoscono che i registri comunicativi vanno cambiati ed osservati nei diversi contesti, allo stesso modo è essenziale che si osservi il decoro e il rispetto dovuti a luoghi e istituzioni anche nell’abbigliamento, evitando il disinvolto ignorare che essere cittadini e non semplici individui semoventi è anche assumere doveri verso il resto del mondo”.
“Ciò detto, la scrivente raccomanda l’osservanza puntuale di quanto qui scritto e si riserva la facoltà di non ammettere a scuola o disporre l’allontanamento di chi non dovesse attenersi alle presenti disposizioni che, come sempre, rispondono esclusivamente ad esigenze formative. Le medesime disposizioni rimangono valide anche per le attività scolastiche extracurriculari e nel periodo di accesso agli uffici dopo la fine delle lezioni. Si confida nella consueta collaborazione di tutti”.
Tuttavia la dirigente, di fronte alle proteste che immediatamente si sono sollevate ha fatto sapere:
“La circolare è nata dalla necessità di ricordare ai ragazzi che “essere opportuni” può fare la differenza. Intendo dire che se devo andare in un ufficio pubblico certamente non posso presentarmi con un abbigliamento che sia più da discoteca o spiaggia. Non sono certamente quella che in altri tempi avremmo definito “bacchettona”, il dialogo con i ragazzi va sempre privilegiato. Il problema è che mi sono trovata di fronte a una sorta di epidemia di jeans strappati di cui restano solo i fili e non la trama e di pancini scopertissimi, insieme ad un corredo di ciabattine che nell’insieme posso anche starci, ma non a scuola. Su piccoli numeri mi sono espressa ad personam ma con una diffusione così estesa era necessario mettere nero su bianco. Penso che questo tipo di abbigliamento, in un luogo che per sua natura è diverso dalla spiaggia, possa essere un modo per dimostrare di essere sicuri, quando di fatto non lo si è. Mostro “i muscoli”.
“Credo di poter sostenere questo perché un gruppetto di ragazzi e ragazze mi ha chiesto di considerare l’opportunità, ed ho subito detto sì, di un corso su sessualità e affettività. E’ bello che loro considerino sullo stesso piano le due dimensioni, intendendole evidentemente interconnesse tra loro. Ne parleranno con medici, psicologi e a questo punto non escluso, a margine, di farli riflettere su quello che è il linguaggio non verbale. Vestirsi in un modo piuttosto che un altro è modo per parlare senza dire. E penso di non dover aggiungere altro”.
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