Tuttavia la disoccupazione fra i laureati triennali è aumentata, tra il 2007 e il 2012, dal 19% al 23%, mentre per i laureati specialistici è salita dal 20% al 21%, come pure per i laureati in Medicina, Architettura, Veterinaria, Giurisprudenza, che è passata dal 19 al 21%.
Ma Almalaurea conferma un altro dato ancora forse più importante e cioè che l’Italia ha pochi laureati rispetto agli altri paesi avanzati.
In pratica tra i 25 e i 34 anni l’Italia ha circa il 20% di popolazione con la laurea, contro il 45% di Francia e Stati Uniti, il 40% della Spagna o il quasi 60% del Giappone. La media Ocse è intorno al 30%.
Se invece si considera la fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni, l’Italia è intorno al 17% contro il 30% della Francia. In queste condizioni, l’ipotesi di raggiungere l’obiettivo fissato dalla Commissione europea per il 2020 (40% di laureati nella popolazione di età 30-34 anni) sembra ormai irraggiungibile e l’Italia, insieme alla Romania, è il paese europeo che sta messo peggio.
Pochi laureati e anche basso salario per loro. E infatti i nostri laureati guadagnano, a un anno dalla laurea, poco più di 1.000 euro netti mensili: 1.049 per il primo livello, 1.059 per gli specialistici, 1.024 per gli specialistici a ciclo unico. Va un po’ meglio a cinque anni dalla laurea quando le retribuzioni medie salgono a 1.343 euro, di fatto la paga di un operaio specializzato.
Nel 2011, scrive ancora Almalaurea, il tasso di occupazione dei triennali è pari al 66%, ma scende al 59% tra gli specialistici biennali e al 36% tra i laureati a ciclo unico, benchè, sui dati più reali, la percentuale scenderebbe al 44,4% a un anno dalla laurea per risalire al 77,4 a cinque anni dal titolo di studio.
I più occupati però, e anche quelli che guadagnano di più, sono gli odontoiatri che risultano occupati a cinque anni dalla laurea al 97,4% mentre i medici, per raggiungere la stessa percentuale, devono prima compiere la specializzazione e il tirocinio.
La loro retribuzione media, a cinque anni dalla laurea, è tra le più alte, 1.976 euro mensili, mentre quella dei medici scende a 1.740 euro che però è molto di più alta dei laureati in ingegneria che a cinque anni dalla laurea specialistica dichiara di essere occupato il 91,8% con una retribuzione media di 1.676 euro.
Altra categoria ben piazzata sono gli ingegneri meccanici (94,3% e 1.797 euro medi), quelli informatici (93,7 e 1.665) e i biomedici. Anche gli Informatici si assicurano una garanzia di occupazione al 92% con retribuzioni medie di 1.559 euro.
Bene pure i laureati in Economia e Commercio, settore gestione aziendale, che possono vantare un tasso di occupazione del 91,7% a cinque anni dalla laurea e una retribuzione media di 1.512 euro mensili.
I fisici sono invece occupati al 58,9%, ma solo per effetto dell’incidenza che ha, in quest’ambito, la formazione post-laurea. Il tasso di disoccupazione dichiarato, infatti, è solo del 6,7% con retribuzioni medie di 1.664 euro.
Importanti poi sono le specializzazioni in Scienze infermieristiche, che danno lavoro al 97,4% dei laureati con retribuzioni medie di 1.716 euro, seguiti dall’interpretariato che sono occupati all’87,6% con retribuzioni più basse, pari a 1.164 euro.
A stare peggio sono invece i laureati in Lettere con tassi di occupazione a cinque anni dalla laurea del 67,9% e retribuzione media di 1.019 euro. E peggio di loro gli archeologi che lavorano solo al 58,7% con una retribuzione media di 981 euro.
Stranamente sono un po’ più garantiti i laureati in Giurisprudenza col 76,7% e con una retribuzione media di 1.217 euro.
In posizione mediana gli architetti, all’88,4% con basse retribuzioni di 1.179 euro, e il settore dei dottori in agraria, con una percentuale di occupati all’84% e retribuzioni medie di 1.185 euro.
Almalaurea sottolinea come questo dato confermi “che il nostro è un mercato del lavoro che si caratterizza per tempi lunghi di inserimento lavorativo e di valorizzazione del capitale umano, ma di sostanziale efficacia nel lungo termine”. Per i laureati intervistati a cinque anni dal titolo, il tasso di disoccupazione si riduce a valori “fisiologici” (6%), nonostante la crisi. Ma la fatica per arrivare a quel traguardo è sempre maggiore.
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