Come è noto, è in corso di modifica, ad anno scolastico iniziato, il progetto di Alternanza scuola-lavoro, come era stato previsto dalla legge 107 del 2015.
Al comma 18 dell’art.57 della Legge di Bilancio, infatti, troviamo scritto: “i percorsi di alternanza scuola-lavoro sono ridenominati percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”.
In poche parole, cambia il concetto di Alternanza e vengono ridotti il monte ore (90 ore per i licei) e la copertura finanziaria.
E’ sconsolante che questo avvenga ad anno scolastico iniziato, ma tant’è.
La Legge di Bilancio dunque, se non subirà modifiche, come sembra, cambierà il quadro normativo di riferimento.
Entrerà in vigore il 1° gennaio 2019. Ed una volta approvata la nuova norma, sarà compito del Miur dare indicazioni nel merito.
Senza queste indicazioni, ad oggi è difficile, se non impossibile, dare piena attuazione alla programmazione già presentata ed avviata, compresi i contratti sottoscritti con i formatori esterni.
Questo in particolare per le classi terze. Il che significa che, in attesa di quelle indicazioni, trovo ovvio che vengano immediatamente sospese le attività programmate e già iniziate.
Per le classi quarte trovo altresì corretto, come promesso a suo tempo, continuare con quanto già previsto. Mentre per le classi quinte, si tratta solo di chiudere il percorso a suo tempo avviato.
Quante scuole, a questo punto, possono rivendicare la qualità delle proprie proposte formative? Lo sappiamo tutti: scuola che vai, alternanza che trovi.
Contrariamente, vedendo e seguendo le discussioni, alla gran parte dei docenti italiani, non so quanti hanno davvero compreso a fondo l’importanza formativa del percorso di Alternanza per i nostri adolescenti.
Perché questa difficoltà, mi sono più volte chiesto?
Perché, in altri termini, si ha paura o si teme la “cultura del lavoro”, sapendo e vedendo i dati drammatici sulla disoccupazione giovanile, compresa la crisi di “occupabilità” dei titoli di studio in Italia?
Mi pare di avere rintracciato la causa o l’origine di questa difficoltà/pregiudizio in Leibniz, per il quale la cultura deve liberare dal lavoro, denigrando così il lavoro manuale, i laboratori, le officine, le botteghe artigiane, quelle che hanno reso l’Italia il secondo Paese manufatturiero dell’Ue dopo la Germania.
Risale a questo pregiudizio, infine, la nostra difficoltà a comprendere il primato delle competenze (formali, informali e non formali) sulle conoscenze. Basta dare un’occhiata a come sono strutturati i concorsi per i presidi ed i docenti: tutti centrati sulle conoscenze e poco sulle competenze. Uno dei vulnus della storia della scuola italiana.
Le conseguenze sulla crisi dell’orientamento alla scelta di scuola superiore dei nostri ragazzi, al di là del familismo italiano, sono evidenti: non ci sono percorsi scolastici di serie A ed altri di serie B, ma tutti, nel rispetto delle “intelligenze multiple”, dei diversi talenti, attitudini, sensibilità, hanno e devono avere pari dignità.
Dovremmo riflettere più a fondo, tutti assieme, intorno a questi temi, centrali nell’orientamento scolastico e nella auto-percezione del nostro lavoro scolastico verso i nostri ragazzi ed il loro e nostro futuro.
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