Da un paio di giorni è operativo l’Osservatorio di monitoraggio dell’alternanza scuola/lavoro. Il Miur ha previsto anche un “bottone rosso” inserito nella nuova piattaforma, che consentirà alle studentesse e agli studenti di segnalare quei casi in cui non viene rispettato il patto formativo siglato.
Necessario il monitoraggio (anche se di insegnanti che operano quotidianamente in classe non mi sembra che ce ne siano – ma potrei sbagliarmi – tra i componenti dell’Osservatorio, a dispetto, anche stavolta, del sempre sbandierato confronto con i docenti!), proprio quello che è venuto a mancare in questo primo biennio di alternanza (devono essersene accorti anche al Ministero, visto l’avvio lo scorso 16 dicembre degli Stati generali dell’alternanza scuola/lavoro – dopo i problemi ripetutamente segnalati e le contestazioni precedenti – anche per “offrire a studentesse e studenti tutte le garanzie per un sistema con più qualità, trasparenza e responsabilità da parte di ognuno”) .
E a dicembre il Ministero ha anche pubblicato la “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro”, prevista dal comma 37 della legge 107: non era meglio attendere la pubblicazione di tale Carta prima di sperimentare (male) questo tipo di attività?!
Molte le voci critiche sulla pratica dell’alternanza, “bocciature” che giungono da diverse componenti. Per la sintesi e la chiarezza della comunicazione vogliamo riportare le dichiarazioni, pubblicate anche su questa testata in un articolo dello scorso mese di novembre, dell’Unione sindacale di base (USB) in cui si fa notare che dopo la “Buona scuola” con le sue leggi-delega, l’alternanza scuola/lavoro viene “propagandata, attraverso un linguaggio accattivante, come soluzione allo svecchiamento della formazione giovanile; questa intrusione dell’impresa privata nelle scuole statali, nelle ore di didattica, nel tempo scuola dei giovani minori, ci è apparsa fin da subito come la ciliegina sulla torta dell’assalto definitivo alla scuola della Costituzione: ai processi di aziendalizzazione e di privatizzazione, infatti, si è aggiunta con l’alternanza scuola-lavoro anche l’educazione allo sfruttamento e al lavoro senza tutele”, anche da parte di multinazionali.
Ad esempio, qualche mese fa alcuni ragazzi si sono confrontati con la ministra Valeria Fedeli per far notare che nella loro città molti studenti stavano praticando l’alternanza scuola/lavoro presso una notissima multinazionale nel campo del fast food, precisando tra l’altro di non voler lavorare gratis sottraendo ore allo studio.
Da un’inchiesta di “Skuola.net” realizzata al termine dello scorso anno scolastico emerge che tra gli studenti dei licei (percorsi di studio in cui c’è stata un’improvvisazione generale e ci sono stati casi, messi in risalto da siti che si occupano di scuola, in cui ragazzi si sono trovati a “lavorare” persino nei call center) solo il 23% ha trovato l’alternanza scuola/lavoro del tutto coerente con gli studi svolti in classe. E quasi la metà – il 43% – ha bocciato con decisione l’esperienza. Anche perché sottrae tempo allo studio e ai programmi scolastici già condizionati negativamente dalla diminuzione (rilevante nei tecnici e nei professionali) delle ore di lezione (per motivi legati al “taglio” dei docenti che si è attuato pesantemente alcuni anni fa, nonostante l’auspicio di una scuola con più formazione disciplinare).
E talvolta nell’alternanza scuola/lavoro si parla persino di sfruttamento del lavoro minorile, perché i ragazzi coinvolti quasi sempre non raggiungono la maggiore età.
Dal sito www.osservatoriodiritti.it apprendiamo che un diciassettenne studente di un istituto tecnico industriale della provincia di Taranto dovrebbe formarsi (ovviamente gratuitamente) all’interno dell’Ilva (!) e che un’alunna di un istituto alberghiero di Milano in estate è stata chiamata in uno stabilimento balneare in Sardegna: lei pensava si trattasse di un percorso di formazione, poi ha capito di dover sostituire un dipendente appena licenziato.
La responsabile nazionale proprio per l’alternanza scuola//lavoro dell’Uds, l’Unione degli studenti, ha evidenziato: “su un campione di oltre 15mila studenti intervistati, il 38% ha dichiarato di aver addirittura pagato, senza che sia stato previsto nessun tipo di rimborso (biglietti autobus, treni, buoni pasto) per partecipare ai percorsi di alternanza”. Inoltre, segnalati anche gravi incidenti e assenza dei tutor aziendali stabiliti per legge. In realtà, i percorsi di alternanza scuola/lavoro prevedono obbligatoriamente una formazione generale in materia di “salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, ma il Miur ha disposto controlli affinché tali corsi di formazione siano stati effettuati prima che iniziasse l’esperienza sui posti dove si svolge l’alternanza?
Da tempo nella scuola che molti vorrebbero sempre più aziendalizzata si privilegia il concetto di competenze da raggiungere, ma le competenze possono essere validate solo se alla base c’è l’acquisizione di conoscenze (attraverso l’insegnamento/apprendimento insito nel rapporto fra alunni e docenti); in effetti, i giovani dovrebbero acquisire conoscenze e poi metterle a frutto nella loro vita in generale e nella transizione dal periodo di istruzione al lavoro, perché il sapere rende cittadini (uomini e donne liberi), esseri pensanti, ma nella strategia del pensiero neoliberista è privilegiato il “saper fare” in quanto confacente ad una catena di montaggio (manuale ed intellettuale) che perpetui il sistema delle diseguaglianze (peraltro sempre più marcate e che hanno prodotto maggiori e spropositate ricchezze per pochi e sempre più diffusa povertà per molti).
La scuola deve quindi educare, dare conoscenze e al limite qualificare, ma un concetto di competenze che maschera soltanto un “saper fare” rimanda ad una ideologia mercantile del sapere e forse anche delle vite umane. Un noto quotidiano, dopo la protesta degli studenti contro l’alternanza scuola/lavoro (almeno così come è stata spesso attuata) e i cortei ad ottobre in 70 città italiane, ha scritto che “la logica neoliberista della scuola/lavoro” è una sorta di “laboratorio di un modello dove lo sfruttamento avviene per minime dosi fino all’assuefazione”, all’assuefazione della precarietà aggiungo io.
Eppure alcuni degli “addetti ai lavori” sembrano ignorare le gravi problematiche che hanno caratterizzato molte esperienze di questi percorsi cui gli alunni sono obbligati.
E c’è un altro aspetto da non trascurare, evidenziato (involontariamente?) persino durante un convegno che in realtà elogiava pienamente l’alternanza scuola/lavoro, anche se poi qualcuno dei relatori faceva notare che… in effetti con la velocizzazione dei cambiamenti delle nuove tecnologie c’è il rischio che quando i ragazzi entreranno nel mondo del lavoro (quando??) il percorso di alternanza fatto a scuola sarà probabilmente superato nei fatti (…allora la logica è proprio quella del modello di assuefazione descritto dal quotidiano poc’anzi citato?).
Al convegno, organizzato a dicembre da un’associazione, dove al tavolo dei relatori erano presenti dirigenti scolastici e accademici (immancabili quando si parla di riforme scolastiche, ma poco inclini a proporre riforme per ovviare ai tanti problemi del mondo universitario), eravamo stati invitati anche noi giornalisti.
E capisco come alla fine, quando si è dato spazio a qualche intervento e ho chiesto la parola, devo essere sembrato un “marziano” perché ho detto (documentando le mie affermazioni) che l’alternanza scuola/lavoro è stata sostanzialmente un “flop” – tra gli applausi degli studenti, che sembravano essersi svegliati dal torpore, ed anche di diversi docenti relegati, nella penombra della sala, ad accompagnatori degli alunni! – al contrario degli apprezzamenti incondizionati dei relatori, apprezzamenti che a me sembravano assumere una dimensione autoreferenziale, e ho messo in rilievo diverse storture (citando alcuni dati ed esperienze adesso riportate anche in questo articolo) sin quando non sono stato invitato, alquanto pressantemente, a concludere (anche perché, per inciso, avevo fatto notare che in alcuni passaggi di qualche intervento mi era parso si fosse data un’immagine un po’ caricaturale del ruolo degli insegnanti).
Ho citato questa esperienza perché mi è sembrata un caso paradigmatico dell’immagine di assoluta valenza se non addirittura di eccellenza che si vuole dare a talune iniziative che riguardano la scuola (che più che di “eccellenze” o presunte tali avrebbe bisogno di “normalità”, serenità, confronto vero e rispetto dei ruoli, a partire da quello dei docenti) ma che in realtà rappresenta un insieme di luoghi comuni, alcuni irrilevanti ed altri che rischiano di scivolare nel patetico (come dire, appunto, che l’alternanza scuola/lavoro fatta oggi probabilmente non servirà ad assolvere future mansioni lavorative che nel tempo saranno determinate da nuove tecnologie e che peraltro il lavoro va cercato dove c’è l’offerta: investire sui territori ed evitare “emigrazioni obbligate”, soprattutto dal Sud, no vero? Eppure a me sembra un diritto). Ma non voglio dilungarmi ulteriormente, è una storia che magari “racconterò” un’altra volta.
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