Bloccato a casa da 15 giorni, con la prospettiva di dovermi assentare sino ai primi di dicembre, non posso non riconoscere il ruolo ed il valore anzitutto degli staff delle due scuole superiori a me assegnate (2100 studenti la prima, 600 la seconda), ma soprattutto dei docenti che fanno ogni giorno il loro dovere, come di tutto il personale, coordinato da due dsga in gamba.
La scuola, insomma, è una comunità, che vive grazie ad una organizzazione flessibile, centrata su diverse responsabilità, tutte convergenti intorno alla finalità prima, cioè il servizio agli studenti, alle loro famiglie, quindi ad un comprensorio.
A regolare i rapporti e le relazioni, al di lá di contratti, norme, leggi, è la disponibilità umana a riconoscersi parte attiva di questa comunità, in ragione di quella finalità.
I contratti e le norme, insomma, sono necessari, ma non sufficienti.
Per questo motivo, vanno riscritti e rimodulati in ordine a questo sempre più richiesto valore aggiunto, oggi non scontato nella gran parte delle scuole, ancora immolate, purtroppo, ad una male interpretata libertà di insegnamento, come libertà in negativo, cioè individualistica. Compresa la pretesa di considerare la gestione degli organici come il cuore pulsante della vita della scuola.
La prima grande contraddizione della Buona Scuola sta tutta qui, cioè la sanatoria generalizzata, con, in più la pretesa di governare il personale il modo centralistico, con un algoritmo. Follie.
Ci vorrebbe uno scatto qualitativo, in questi termini, non solo del parlamento e del governo, del ministero (anche se è difficile che un ministero prenda l’iniziativa di autodimensionarsi), ma, prima ancora, delle varie rappresentanze del mondo della scuola.
Pensiamo, ad esempio, ai sindacati. I quali dovrebbero, più che inseguire le deleghe per garantire quote ed esoneri ai sindacalisti, essere davvero espressione della domanda di professionalità, ragione di una moderna professionalità, in ordine a merito, valore, sensibilità. Altro che sanatorie.
Per riformare il mondo sindacale, al di lá di una legge sulla rappresentanza che garantisca trasparenza, basterebbero due piccoli emendamenti: il limite dei mandati sindacali (i sindacati non possono diventare una carriera), e la scelta delle dimissioni in caso di pensionamento (i motivi sono facilmente intuibili).
Promuovere, dunque, la professionalità, ponendo fine al finto egualitarismo, visto che, a livello sociale, si sta sempre più affermando la richiesta di controllo sociale del nostro “servizio pubblico”. Come è giusto. Perché la responsabilità prima, educativa e formativa, dei nostri ragazzi è delle famiglie, non dello Stato.
Su questo punto, per capire cioè quanto sto dicendo, basterebbe seguire i presidi al momento della assegnazione delle cattedre, cioè dei docenti alle classi.
Non possono essere solo il caso, o l’aritmetica, non può essere cioè solo il matematismo delle graduatorie. Ma questo vale anche per gli incarichi triennali dei presidi, assegnati dagli Usr alle scuole senza alcun merito, al di lá della proposta di valutazione, appena proposta, più burocratica che altro, per l’assenza, mi pare, dello sfondo culturale di una leadership in ragione di una scuola all’interno di una comunità locale. La difficoltà di molte scuole sta tutta qui.
Un solo esempio: quanti presidi hanno proposto, all’inizio di questo anno scolastico, all’inizio dei collegi dei docenti, riflessioni aperte sui cambiamenti che stanno segnando la nostra società, quindi anche la nostra scuola? Solo burocrazia, gestione, organizzazione, criticità? Siamo diventati incapaci di alzare lo sguardo, al di lá dei mille quotidiani problemi?
Con il vecchio Platone, “il capolavoro della ingiustizia consiste nel sembrare giusti, senza esserlo”.