Si parla tanto di scolarizzazione e dell’esigenza di aumentare il numero di alunni iscritti ad un corso scolastico. Poco si dice, invece, del fatto che ci sono delle aree del Paese dove i bambini iniziano la scuola solo con la primaria. Ora, si scopre che questa tendenza si sta addirittura incrementando. A sostenerlo è la Fondazione Openpolis, attraverso un rapporto nazionale pubblicato il 5 febbraio, mettendo in questo modo ancora più in allarma le istituzioni preposte, già preoccupate per il mancato obiettivo dell’Italia di centrare le indicazioni Ue sull’abbandono scolastico sotto il 10%.
Certamente, la scuola dell’infanzia non va annoverata in questi numeri, ma l’andamento registrato non costituisce di certo in punto a favore delle iscrizioni complessive. Perché un bimbo disabituato a frequentare la scuola, e le regole che impone, è a livello scolastico senz’altro più vulnerabile (a non superare le difficoltà scolastiche) rispetto a chi ha iniziato con la materna a o con l’asilo nido.
Lo studio parte dalla situazione in essere, ovvero che esiste già un vincolo ad offrire posti nelle scuole dell’infanzia ad almeno il 90% dei bimbi tra i 3 e i 5 anni, analogo a quello del 33% sugli asili nido e servizi prima infanzia. Mentre su quest’ultimo target l’Italia è ancora indietro, rientra tra i Paesi virtuosi per la cura della fascia d’età compresa tra 3 anni e la scuola dell’obbligo.
Solo che questa “dote” sta per essere consumata. Perché, rivela la Fondazione, nell’anno 2011/12, la quota di bambini di 4-5 anni iscritti alla scuola dell’infanzia oscillava attorno al 95% mentre nei successivi questa percentuale si è progressivamente contratta.
Al punto che i risultati rielaborati in queste settimane hanno fatto emergere che la frequenza di bambini iscritti alla scuola dell’infanzia è scesa fino al 91,1%.
Facendo così registrare, commentano sempre i ricercatori della Fondazione, “una percentuale ancora alta quindi, ma con una sensibile tendenza al calo”.
Ed è altrettanto indicativo che tutte le regioni al di sotto della media italiana, escluse Lazio e Lombardia, si trovano nel Mezzogiorno.
Infine, i ricercatori dell’Istat hanno registrato che tra le regioni del “Mezzogiorno”, solo Abruzzo (93,4%) e Sardegna (93,6%) si collocano al di sopra della media nazionale.
La tendenza, al Sud, di non mandare i figli a scuola in tenera età, non è nuova: nelle regioni da Roma in giù, infatti, l’iscrizione a scuola entro i 6 anni è osteggiata da fattori culturali (con le famiglie che si organizzano per evitare l’approdo precoce a scuola) e strutturali (i servizi offerti dalle strutture scolastiche non sono sempre all’altezza e quasi sempre garantiti solo fino all’ora di pranzo).
Quello che sorprende è che i dati delle iscrizioni siano addirittura in evidente calo.
Il dato sulla pericolosa riduzione di iscritti alla scuola dell’infanzia, soprattutto al Sud, non sfuggirà di sicuro al Miur: la struttura amministrativa centrale, del resto, sui cali d’iscrizione ha le “antenne dritte”. E sanno bene che le percentuali ultime, che indicano una dispersione in leggero calo, non devono far illudere.
Solo qualche mese fa, il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, parlando dell’abbandono scolastico al Sud, disse che “per abbattere il problema dispersione vorrei portare nella scuola pubblica l’esperienza che ho vissuto io stesso: insegnanti volontari che si ritrovano in centri in alcune aree più complesse, dove ragazzi chiedono aiuto per recuperare in alcune discipline scolastiche, lacune che spesso partono da una difficoltà psicologica, di fragilità emotiva”.
Solo pochi giorni fa, sullo stesso tema è intervenuto Salvatore Giuliano, sottosegretario all’Istruzione del MoVimento 5 Stelle, soffermandosi sui “dati sui Neet e sull’abbandono scolastico del rapporto Bes 2018 dell’Istat”, i quali “impongono un’accelerazione sulle politiche per l’inclusione. Da quando siamo insediati, la nostra priorità è proprio quella di migliorare la qualità dell’esperienza, permettendo agli studenti di sviluppare il loro potenziale e di integrarsi nella scuola”.
Il sottosegretario ha ricordato a tal proposito che è stato prevista in manovra di Bilancio, “l’assunzione di 2.000 nuovi insegnanti per estendere il tempo pieno nella scuola primaria per le aree del Paese dove ancora l’offerta non è adeguata”.
Le 2 mila nuove assunzioni per il tempo pieno, tuttavia, non devono fare illudere: a questo ritmo, per vedere uscire da scuola alle ore 16.00 tutti gli alunni della primaria, serviranno 20 anni.
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