La libertà religiosa, garantita da Stati costituzionalmente laici risulta compromessa nell’intero Vecchio Continente. Le questioni relative ai simboli religiosi, ovvero il crocifisso piuttosto che i divieti disposti all’abbigliamento che possa associare l’individuo ad una determinata appartenenza (in contrasto con le dinamiche – talvolta forzate – di secolarizzazione) – popolano sempre di più forum e discussioni, dibattito pubblico. Il Regno Unito presenta, assieme alla Germania, una delle più storiche e complesse comunità islamiche d’Europa, frutto dell’immigrazione successiva al crollo del Commonwealth in determinate e specifiche aree (Cipro, India, Malta, Egitto e Pakistan) le quali han potuto mettere radici con la garanzia della tutela degli elementi culturali caratterizzanti dei gruppi anche a scuola.
Tali limitazioni alla preghiera, imposte dai singoli istituti scolastici nei confronti degli studenti musulmani, vedono una limitata e flebile resistenza istituzionale e pubblica. La Corte di Londra ha inoltre segnalato che tali provvedimenti non risultano essere illegali, nonostante costituiscano una limitazione alla libertà di espressione come segnalato dagli osservatori internazionali.
Una studentessa musulmana che voleva pregare durante l’ora di pranzo ha perso martedì una battaglia legale in tribunale contro una severa scuola londinese che aveva vietato la preghiera nel campus ed i relativi edifici. Un giudice dell’Alta Corte ha detto che la studentessa aveva accettato le norme e regole d’istituto quando si era iscritta alla scuola che sarebbe stata soggetta a restrizioni religiose. “Sapeva che la scuola è laica e la sua prova è che sua madre desiderava che lei andasse lì perché era nota per essere severa”, ha scritto il giudice Thomas Linden in una sentenza di 83 pagine.
“Molto prima che venisse introdotta la politica del rituale di preghiera, lei e i suoi amici credevano che la preghiera non fosse consentita a scuola e quindi compensava le preghiere mancate quando tornava a casa.” La scuola laica ad alto rendimento nell’area di Wembley impone un rigido insieme di regole e disciplina al suo gruppo diversificato di studenti, metà dei quali sono musulmani. La ragazza in oggetto, con l’aiuto della madre, ha fatto causa alla scuola per “il tipo di discriminazione che fa sentire le minoranze religiose alienate dalla società”. La ragazza, il cui nominativo resta ignoto per ordine del tribunale, ha precisato che voleva pregare durante la pausa pranzo nel periodo autunnale e invernale, quando l’altezza del sole richiede l’esecuzione di uno dei cinque rituali di preghiera quotidiana dell’Islam a quell’ora determinata del giorno. Ha fatto causa alla scuola per questa politica, sostenendo che violava la sua libertà religiosa e la Convenzione europea sui diritti umani.
La scuola ha sostenuto che qualsiasi interferenza del divieto sui diritti religiosi della ragazza era giustificata perché il rituale di preghiera era in conflitto con le sue rigide regole ed era poco pratico accogliere altri studenti che volevano pregare. La scuola ha osservato che l’Islam permette che la preghiera venga eseguita più tardi nel corso della giornata e ha detto che lo studente potrebbe trasferirsi in una scuola che consenta la preghiera.
Il giudice ha affermato che lo scopo più ampio del divieto di preghiera – promuovere l’etica della scuola di integrare alunni di diverse fedi, culture ed etnie riducendo al minimo le distinzioni sociali – superava il suo impatto negativo sugli studenti musulmani. Fa discutere, in Italia, il tentativo di alcuni istituti di introdurre, in riferimento alla cultura e fede della propria popolazione scolastica, delle festività o delle pause dalla didattica dedicate; il Ramadan richiese un’attenzione particolare. Il Ministro dell’Istruzione Valditara ha inoltre dichiarato l’impossibilità dei singoli istituti di definire in autonomia delle festività. In merito ai fatti di Pioltello ha infatti dichiarato che: “Le festività possono essere introdotte esclusivamente dalla Regione o dallo Stato, quindi l’ufficio scolastico della Lombardia verificherà se le decisioni prese dal consiglio d’istituto e dalla scuola sono coerenti con la legge. Dopodiché sarà l’ufficio scolastico regionale ovvero la Regione Lombardia a fare le loro opportune valutazioni”.
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