La presidente del CIIS (Coordinamento italiano insegnanti di sostegno) Evelina Chiocca ha seguito fin dall’inizio il “caso” del liceo di Roseto degli Abruzzi dove un’alunna con sindrome di Down sta frequentando le lezioni in presenza con altri suoi compagni che hanno deciso di essere presenti in classe insieme con lei.
Le abbiamo chiesto quindi un commento.
Molte scuole consentono la frequenza in classe ai soli alunni con disabilità e ai soli insegnanti di sostegno, che vengono denominati come “i loro insegnanti”, contravvenendo in modo palese a ogni indicazione normativa. Nelle scuole chiuse, i docenti di sostegno sono impegnati anche con più alunni con disabilità, ricreando quelle classi differenziali che hanno segnato tristemente un periodo della storia della scuola e che credevamo definitivamente abbandonate.
Le risulta che si tratti di una situazione diffusa?
Sono molti i docenti di sostegno che lamentano questa situazione e che si trovano impossibilitati a fare diversamente. Si vota nei collegi docenti. Si decide di reintrodurre prassi contrarie alla norma. E tutto accade, nonostante i continui solleciti provenienti dal Ministero (si pensi alla Nota 1990/2020, emanata proprio a chiarimento dei contenuti del DPCM 3 novembre 2020).
Lei conosce bene il caso di Roseto: ci racconta come si sono svolti i fatti?
La realtà racconta la tenacia della mamma di Anna, la sua determinazione, il suo non voler accettare passivamente la pericolosa deriva conseguente all’abbandono della via intrapresa dalla scuola italiana a favore del processo inclusivo e alla rinuncia di oltre 40 anni di storia. Questo rischio l’ha spinta a non arrendersi, a non darsi per vinta. E così, norme alla mano, questa mamma ha chiesto alla scuola il loro rispetto: creare le condizioni di reale inclusione.
È vero che il Dirigente l’ha ascoltata, ne prendiamo atto e ce ne rallegriamo. Inserito nell’odierna situazione, il suo agire appare addirittura, consentitemi il termine, coraggioso, visto che nelle altre scuole, dalle testimonianze che quotidianamente riceviamo, si insiste nel fare andare a scuola solamente l’alunno con disabilità e il solo docente di sostegno. Il Dirigente di Roseto degli Abruzzi ha applicato coerentemente, rispettandola, la normativa vigente. Ed è ciò che deve fare ogni dirigente della scuola italiana.
Forse bisogna anche dire che Governo e Ministero non hanno brillato per chiarezza: le disposizioni impartite nel corso dei mesi non appaiono molto limpide e coerenti
Già nel giugno scorso il Ministero con il DM 39/2020, poi ripreso nel DM 89/2020, aveva indicato che la frequenza degli alunni con disabilità, in caso di sospensione delle lezioni, avrebbe dovuto garantire “condizioni di reale inclusione”, quindi, insieme all’alunno con disabilità, in classe sarebbero dovuti entrare anche altri compagni, figli di personale sanitario o di personale la cui attività lavorativa è essenziale per il bene della popolazione. L’impostazione inclusiva, coerente con le norme fino a oggi emanate, viene così tradotta nella costituzione di un piccolo gruppo “eterogeneo per capacità”.
Cosa c’è che non va in questo?
Mi sembra chiaro: frequentare le classi comuni non è equiparabile a frequentare le aule di sostegno o del sorriso o le aule ghetto, in cui sono presenti solo alunni con disabilità e/o questi con alunni scolasticamente fragili (che sono raccolti in una serie di etichette raggruppate nella “categoria BES”).
La frequenza “nelle classi comuni” è un’indicazione di legge che non può essere negata o interpretata a piacimento. Va rispettata e applicata. Non può l’autonomia scolastica adottare forme organizzative in contrasto con quanto indicato dalla legge 104/92, né l’autonomia scolastica può giustificare prassi che siano riconducibili a forme di discriminazione.
Sì, ma è proprio quello che sta scritto nelle ultime disposizioni
Appunto! I provvedimenti che abbiamo letto in questi giorni ci hanno colto di sorpresa. Personalmente mai mi sarei aspettata di leggere quanto riportato, per esempio, nel DPCM 3 novembre 2020 in merito alla possibilità di frequenza riservata ai soli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali. Si è andata a descrivere, legittimandola, una organizzazione che ricalca le vecchie classi differenziali, evidentemente abrogate a livello normativo, ma non ancora del tutto rimosse dal sentire comune.
E a poco è valso il provvedimento del 5 novembre, in cui il Ministero ha cercato di ricucire lo strappo prodotto dal DPCM, ricordando che il piccolo gruppo, coerente con il modello pedagogico inclusivo, previo consenso delle famiglie, deve essere formato da: alunni con disabilità, con bisogni educativi speciali, con criticità di apprendimento in modalità online, con difficoltà derivanti da situazioni di “digital divide” non altrimenti risolvibili, da alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…) e da figli di personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali.
Cosa ne pensa delle parole della Ministra a proposito di quanto sta accadendo a Roseto?
Ho apprezzato l’intervento della Ministra, ma non nella parte in cui affida l’impostazione inclusiva all’applicazione dell’autonomia “con intelligenza”. L’autonomia, di per sé, non legittima le scelte incoerenti ostative del processo inclusivo.
E vorrei anche aggiungere che il Ministero, nella sua ultima Nota, indica anche “come agire”, auspicando, pur senza scriverlo esplicitamente, che le scuole si facciano rispettose delle norme emanate. Ma là dove le scuole attuano forme di classi ghetto oppure riadottano modalità che separano, che escludono, che non includono, allora il Ministero dovrebbe intervenire, richiamandole. Mi aspetterei un’azione più determinata, più esplicita.
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