In caso di lockdown, gli alunni con bisogni educativi speciali dovrebbero avere la possibilità di seguire le attività didattiche in presenza: è la posizione che si sta consolidando anche con le ultime ordinanze regionali.
Il problema è stato sollevato nelle ultime ore dalla deputata del M5S Virginia Villani che fa rilevare che in Campania solo con l’ordinanza del 26 ottobre il presidente De Luca “ha previsto la possibilità di svolgimento di attività didattiche in presenza destinate agli alunni affetti da disturbi dello spettro autistico o diversamente abili, previa valutazione, da parte dell’Istituto scolastico, delle specifiche condizioni di contesto”.
“Per questi alunni – sottolinea Villani – la scuola in presenza, svolta negli edifici scolastici o in altri spazi, da identificarsi eventualmente anche in collaborazione con Enti, Istituzioni e organismi locali, è sicuramente l’unica via per garantire loro un dignitoso diritto allo studio”.
Nella stessa direzione va l’ordinanza odierna del presidente della Puglia secondo la quale per gli alunni con disabilità l’attività didattica deve svolgersi in presenza.
L’idea è quella di creare le condizioni per la realizzazione di progetti di inclusione, ma forse – a ben pensarci – la questione è un po’ più complessa perché se a scuola ci sono solo alunni con bisogni educativi speciali si rischia proprio di negare alcuni principi fondamentali dell’inclusione e di creare addirittura classi speciali che sono palesemente in contrasto con la legge.
Se gli alunni con disabilità vanno a scuola e gli altri stanno a casa non c’è nessuna inclusione ma semmai si sancisce la separazione fra gli e altri.
“E’ proprio così – sostiene per esempio Raffaele Iosa, ex dirigente tecnico del Ministero, per molti anni responsabile dell’Osservatorio nazionale sull’handicap – ed è evidente che questa situazione sta facendo esplodere le contraddizioni in cui si dibattono oggi i processi di inclusione scolastica. Il punto è che la richiesta di far andare a scuola gli alunni con disabilità è stata avanzata a viva voce proprio dalle famiglie. E si tratta di una richiesta del tutto comprensibile: con la didattica a distanza è difficile riuscire a lavorare con i ragazzi con disabilità e le stesse famiglie hanno difficoltà a gestire la situazione.”
“Io credo – aggiunge Iosa – che se questo lockdown dura poco possiamo accettare la soluzione anche perché penso al ragazzino che in tal modo almeno per un giorno o due alla settimana può uscire di casa; ma, se devo valutare il significato simbolico che ha, mi pare che si tratti davvero dell’ennesimo tassello che evidenzia la crisi dell’inclusione. Mi pare che si tratti di una soluzione di tipo difensivo che crea effetti perversi; per esempio nasce subito un problema: ma in definitiva quale insegnante andrà poi a scuola a lavorare con l’alunno con disabilità? Ovviamente l’insegnante di sostegno”.
“D’altronde pensiamo ad un altro aspetto – conclude Iosa – anche in tempi normali ci sono tanti alunni con disabilità che fanno lezione fuori dalla propria classe e quindi mi pare che l’epidemia stia soltanto facendo esplodere le contraddizioni. Una delle più importanti, secondo me, è legata alla necessità di formare tutti i docenti (e non solo quelli di sostegno) ai temi dell’inclusione. In definitiva mi pare che tutto ciò che sta accadendo sia davvero un effetto perverso di una assenza di serie politiche dell’inclusione che dura ormai da un ventennio”.
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