I lettori ci scrivono

Alunni difficili, servono altre figure per seguirli: il docente da solo non basta!

Tutti i ragazzi devono andare a scuola fino all’assolvimento dell’obbligo scolastico, ma non tutti i ragazzi sono portati per la scuola, per lo studio e ci vanno mal volentieri, spesso forzati dai genitori, al contrario di altri padri e madri, invece, che della scuola hanno un pessimo concetto e non mostrano attenzione all’assolvimento dell’obbligo dei propri figli.

Marinare la scuola e non terminare almeno quella dell’obbligo (fino a sedici anni, ma si parla da qualche tempo di elevarlo a diciotto) è un reato perseguibile penalmente fino all’arresto e alla condanna da parte dei giudici.

Tuttavia ci sono ragazzi che amano tanto la scuola, ci vanno volentieri, si impegnano, studiano, sono attenti in classe, intervengono con domande pertinenti durante le ore di lezione mostrando curiosità, vogliono essere sempre interrogati, prendere bei voti e andare sempre avanti nel percorso scolastico mostrando orgoglio, volontà, impegno, passione, voglia di apprendere.

All’opposto ci sono ragazzi che odiano la scuola, la ritengono una perdita di tempo, mostrano insofferenza, non riescono a stare cinque ore della giornata seduti nel banco ad ascoltare gli insegnanti, disturbano, chiacchierano, si alzano di continuo per chiedere di andare in bagno, di uscire fuori dall’aula per prendere “una boccata d’aria”.

Sono quei ragazzi che i docenti chiamano “difficili”, perché mostrano apatia, disinteresse, negligenza, maleducazione eppure anche loro hanno diritto ad andare a scuola fino all’assolvimento dell’obbligo scolastico.

E allora come si può fare a tenere buoni questi ragazzi svogliati? I dirigenti scolastici dicono che per questa tipologia di alunni bisogna trovare strategie di didattica alternativa, appassionarli diversamente interessandoli a qualcosa. E come? Con quali strumenti se la scuola italiana ha, purtroppo, le armi spuntate e gli insegnanti non hanno nemmeno uno strumento adeguato per potersi difendere dalle angherie degli alunni svogliati, insolenti, fastidiosi, che usano parole forti e minacciose contro i docenti.

I dirigenti scolastici dicono che se un docente non riesce a motivare, appassionare e non trova le strategie giuste per insegnare agli alunni problematici non è un buon docente, in quanto è nella gestione della classe “difficile” che si misura la bravura di un insegnante. Ovviamente convivere in una classe con alunni problematici è deleterio per gli altri che hanno passione, volontà e tanta voglia di imparare e soprattutto è perseguibile dalla legge perché si viene a ledere il diritto allo studio di tutti quegli alunni che amano la scuola e ci vanno volentieri perché vogliono apprendere, imparare, fare nuove ed entusiasmanti scoperte.

E allora come la mettiamo? Servono nella scuola altre figure professionali che devono “accompagnare” e sostenere il lavoro del docente, soprattutto quando si trova di fronte a classi “pollaio” (altra vergogna della scuola italiana!) in cui lavorare serenamente diventa veramente un’impresa titanica.

Ci vogliono, dunque, più insegnanti e lo Stato deve capire (e non fare più orecchio da mercante) che il docente non deve essere abbandonato al suo destino, che bisogna investire molto finanziariamente nell’istruzione perché la società scolastica è cambiata. Bisogna trovare le risorse per dotare la scuola di altre figure professionali che si occupano dei ragazzi “difficili”, che utilizzino metodi di insegnamento alternativi alla didattica tradizionale con un apprendimento “pratico”, immediato, di tipo laboratoriale, cioè di figure che diano prima di tutto importanza alle “competenze sociali e relazionali”, cioè fornire agli alunni gli strumenti base per poter vivere in una comunità educante, in quanto la scuola è una comunità in cui si impara a vivere stando insieme e rispettando le regole.

Purtroppo la scuola oggi non è più quella di un tempo, è un soggetto sofferente con tante patologie che va curato e tenuto costantemente sotto osservazione, in quanto deve, ahimè, sopperire all’assenza di quell’anello mancante della catena sociale che è la famiglia.

 

Mario Bocola

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