Il Consiglio di classe ha la facoltà di cambiare, in corso d’anno, il piano educativo individualizzato di studio predisposto per gli alunni portatori di disabilità approvato ogni anno entro il 31 ottobre: ovviamente, il cambiamento del Pei va realizzato in presenza di condizioni mutate rispetto a quanto previsto, anche sulla base delle certificazioni prodotte dalla famiglia.
A cambiare sono, evidentemente, “obiettivi educativi e didattici, strumenti, strategie e modalità per realizzare un ambiente di apprendimento nelle dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione, dell’interazione, dell’orientamento e delle autonomie” previsti dal piano educativo.
Se il Pei muta in corso d’anno
A convincere il Consiglio di classe a cambiare in corso d’anno scolastico il programma di studio sono i comportamenti, il coinvolgimento nelle discipline e i risultati raggiunti dall’alunno con bisogni educativi speciali: bisogni che riguardano disabilità di tipo intellettivo, sensoriale, motorio, neuro-psichiatrico. Sempre tenendo conto del parere del professionista che segue l’allievo a livello medico, come il neuropsichiatra o lo psicologo.
In mancanza di novità rilevanti, il pei non cambia: fondamentalmente, il piano educativo individualizzato può essere differenziato (non comportando quindi un titolo di studio equipollente a quello dei compagni di classe normodotati) o con obiettivi minimi, da raggiungere per conseguire il titolo (equivalente).
La storia di Nina
Il pei differenziato è quello che aveva Nina Rosa Sorrentino, la giovane con la sindrome di Down iscritta al liceo di scienze umane Sabin di Bologna, che lo scorso 14 marzo si è ritirata dalla classe quinta perché i docenti hanno negato alla famiglia il passaggio al piano personalizzato per obiettivi minimi (malgrado il neuropsichiatra infantile del gruppo di lavoro avesse dato il suo assenso): la ragazza, quindi, la prossima estate non avrebbe conseguito il diploma di maturità, ma solo un certificato di competenze.
Quindi, la famiglia della giovane ha deciso di farle lasciare quell’istituto. Con una lettera aperta, a distanza di due settimane, il 28 marzo, i docenti della studentessa hanno deciso di fare sentire le loro ragioni.
Le ragioni dei docenti
“Il Consiglio di classe – scrivono i docenti – non ha negato l’esame di maturità alla studentessa, ma le ha prospettato di concludere insieme ai compagni di classe il proprio percorso scolastico, conseguendo un attestato di credito formativo, che non solo non preclude la possibilità di accedere al mondo del lavoro, ma favorisce l’inclusione degli alunni con disabilità in percorsi di collocamento mirato (art. 2 L. 68/99)”.
“Il modello che guida i docenti – fanno sapere ancora i docenti – si fonda su una precisa idea di scuola inclusiva, che spinge a scegliere percorsi didattici ed educativi basati sui bisogni e sulle inclinazioni dei singoli studenti e che solo in quanto tali possono essere davvero formativi. L’idea secondo la quale dobbiamo raggiungere tutti gli stessi obiettivi non conduce a una società equa, ma a una società performativa, che appiattisce e omologa su un’idea sbagliata di successo, anziché impegnarsi al fine di trasformare realmente in risorse le specificità, e indurre il sistema sociale ad essere effettivamente più inclusivo”.
Le ragioni dei genitori
Di tutt’altro avviso si era detta la famiglia della giovane Nina. “Il futuro di nostra figlia ora è in sospeso, ma per lei vogliamo puntare al massimo delle sue possibilità. È un suo diritto”, avevano detto i genitori a Fanpage.it, criticando la scuola secondo cui la maturità per Nina sarebbe stata troppo “stressante”.
“Il perché – aveva detto il padre, come riportato da Repubblica – è quello che ci tormenta. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci. Cercheremo un’altra scuola da settembre disposta a sostenere nostra figlia in una programmazione personalizzata verso l’esame di Maturità. Per noi è importante che su queste tematiche si faccia un passo avanti, non solo per Nina, ma per tutta la società”.
Del caso si era occupata anche Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione e al Merito: quello che è accaduto alla “studentessa con la sindrome di Down alla quale è stata negata la possibilità di sostenere l’esame di maturità, e pertanto costretta a ritirarsi dal Liceo a cui era iscritta, non è certo l’esempio della scuola dell’inclusione alla quale ci ispiriamo”, aveva detto Frassinetti.