Trasmettere le basi della didattica “speciale” a tutti i tutti i docenti in servizio nella scuola pubblica italiana, “normalizzare” buona parte di quelli attualmente specializzati e trasformare i più preparati in tecnici esperti operanti all’interno di uno sportello unico, a livello locale, per assistere le famiglie non solo per la formazione scolastica dei figli disabili ma anche per la loro integrazione sociale.
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Alunni disabili, proposta choc: basta col sostegno individuale, specializziamo tutti i prof
L’ambizioso e rivoluzionario programma di revisione dell’attuale modello che governa la “macchina” del sostegno in Italia – quasi 95.000 docenti a supporto di oltre 200.000 alunni, con un incremento nell’ultimo decennio rispettivamente del 20% e del 45% – è stato presentato il 14 giugno a Roma durante l’annunciata presentazione del Rapporto “Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte“, edito da Erickson. A parlarne c’erano, oltre a Valentina Aprea (Pdl), presidente della commissione Cultura della Camera, e Maria Letizia De Torre (Pd), componente della stessa commissione, i rappresentanti della Fondazione Agnelli, Caritas italiana e associazione Treellle, che hanno curato la stesura del documento di proposta. Quasi tutti si sono detti d’accordo con la necessità di mettere mano all’attuale modello. Un concetto, peraltro, fortemente richiamato nel rapporto, dove si parla di “inaccettabile spreco di risorse e di competenze”. In effetti i costi del sistema-sostegno sono altissimi: circa 4 miliardi di euro, in gran parte spesi dal Miur per le retribuzioni degli oltre 90mila insegnanti di sostegno, ma anche dagli enti locali per l’introduzione di operatori ad ulteriore supporto, come gli assistenti individuali o alla comunicazione, per un totale di circa 25mila addetti. Un modello, inoltre, che non garantisce continuità didattica, visto che ogni anno quasi la metà degli insegnanti di sostegno cambia sede o alunno. Senza contare che una fetta non piccolissima, soprattutto al Nord, opera sugli alunni pur non avendo acquisito titoli o specializzazioni per trattare e aiutare alunni con difficoltà di apprendimento.
La conclusione è che l’Italia è il paese dove i disabili hanno maggiori difficoltà a trovare lavoro, malgrado gli obblighi previsti per legge“, ha detto con amarezza Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli.
Sotto accusa non è quindi finito il modello di integrazione dei disabili. Ma le modalità di attuazione per realizzarlo. Uno dei passaggi centrali della proposta è stato quello della creazione, a livello provinciale o sub provinciale, di una serie di Centri risorse per l’integrazione (Cri), con personalità giuridica e autonomia amministrativa: farebbero capo ad uno “sportello unico” e attraverso addetti specializzati, tra cui parte degli attuali insegnanti di sostegno, che avvierebbero un contatto diretto e permanente con le famiglie. E non solo per curare gli aspetti di crescita formativa degli alunni disabili. Il personale iper-specializzato avrebbe l’onere di migliorare l’interazione dei tanti soggetti coinvolti: famiglie, servizi sanitari e sociali, pubblica amministrazione, terzo settore, comunità locale. Con la scuola al centro. A cui verrebbe chiesta, di conseguenza, una capacità progettuale efficace e a 360 gradi.
Il progetto appare a dir poco ambizioso: oltre ai limiti finanziari contro cui si scontrerebbe (chi formerà e con quali soldi quasi un milione di docenti?), dà per scontato troppi passaggi. Il primo è che, soprattutto alle superiori, non è sempre facile collocare un docente, soprattutto quando è in possesso di una sola abilitazione. In seconda battuta bisognerebbe capire cosa ne penseranno famiglie ed esperti medici. L’ultimo, forse il più importante, riguarda l’assorbimento degli attuali docenti di sostegno in un pool di super-esperti della materia. I quali dovranno lasciare le aule di scuola per entrare in uffici e Asl. Siamo sicuri che saranno così contenti di farlo?