Cosa accade ad un bambino dislessico se non viene aiutato a partire dalla fine della seconda primaria, quando gli si può diagnosticare il disturbo specifico di apprendimento? Cosa avviene se a scuola e a casa non viene affrontato adeguatamente il problema di disgrafia, disortografia, discalculia? Accade che nella maggior parte di casi il bambino, che presto diventerà ragazzo e poi adulto, vivrà il suo limite con disagio, rischiando di far insorgere in sé dei problemi psicologici che possono sfociare in vere patologie.
A sostenerlo, a colloquio con l’Ansa, è Stefano Vicari, responsabile dell’Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma: il medico esperto sostiene che un Dsa non affrontato adeguatamente nel 60% dei casi “presenta disturbi d’ansia o depressione, espressione della loro esperienza di insuccesso scolastico e frustrazione”.
Secondo Vicari, “questi disturbi, che nella maggior parte sono genetici, durano tutta la vita: nella maggior parte dei casi i genitori si rivolgono a centri di psicologia privati, ma in realtà dovrebbe essere la scuola a fornire tutti gli strumenti necessari, visto che difficilmente il Servizio sanitario nazionale può farsi carico di questo problema”.
Le parole del neuropsichiatra trovano riscontro nella realtà che devono affrontare le famiglie: spesso i disturbi dell’apprendimento vengono infatti diagnosticati in ritardo, perché non individuati dai docenti oppure si preferisce non affrontarli; per ottenere le certificazioni dall’Asl da presentare a scuola i tempi sono troppo lunghi; le istituzioni private che possono rilasciare i certificati sono costose e le famiglie finiscono anche per rinunciare.
Le famiglie che possono, comunque, si rivolgono alle strutture private. Solo che, sempre secondo il professor Vicari, “spesso i centri privati sono un vero business nascono come funghi. E non ci sono neppure evidenze che i trattamenti psicologici in questi casi siano efficaci. I risultati delle ricerche fatte finora sono davvero deludenti”.
Eppure, la legge 170 del 2010 ha introdotto la possibilità della certificazione per gli studenti con Dsa, e ha individuato una linea per garantire il diritto allo studio in tutte le sue forme. Con una direttiva del 2012 è stato poi inserito il concetto di “bisogno di linee educative speciali e della personalizzazione del percorso di studio”, ricordano al Miur.
L’applicazione della legge 170/10 diventa quindi spesso solo teorica. Ma quali effetti positivi si hanno nei casi in cui venga adottata? “Questi disturbi – continua Vicari – non si correggono con la terapia, ma con strumenti compensativi, facendo usare ai bambini disgrafici il computer dove trovano la tastiera con le lettere già pronte senza impegnare la loro energia per scriverle, audiolibri per i dislessici, la calcolatrice per i discalculici, per fare solo alcuni esempi”, spiega. E sottolinea che i bambini, diventati adolescenti, si porteranno al liceo questo bagaglio.
È bene ricordare, a scanso di equivoci, che il cervello di un bambino dislessico, pur essendo “diverso” da quello dei bambini che riescono a leggere normalmente, non è causa di una malattia. Lo stesso vale per gli alunni con disgrafia, disortografia, discalculia: l’importante, dicono gli esperti,è arrivare a una diagnosi veloce, che si può già fare tra la fine della seconda elementare e la terza, e fornire ai bambini gli strumenti che portano a una riorganizzazione del cervello.
Ma di quanto bambini stiamo parlando. Decisamente tanti. Le ultime stime ufficiali, fonte Miur, corredate da tabelle e grafici, ci dicono che il 2,9% della popolazione studentesca dell’anno scolastico 2016-2017 ha Disturbi specifici dell’apprendimento: in tutto sono ben 254.614. Il disturbo mediamente più diffuso è la dislessia (42,5%), anche se più disturbi possono coesistere in una stessa persona. Seguono la disortografia (20,8%), la discalculia (19,3%) e la disgrafia (17,4%).
La percentuale più alta di alunne e alunni con Dsa, che necessitano di strumenti compensativi e dispensativi, si trova nella scuola secondaria di I grado: sono il 5,40% dei frequentanti, contro il 4,03% della secondaria di II grado e l’1,95% della primaria. Anche le scuole dell’infanzia hanno trasmesso dati riguardo a casi sospetti di disturbi specifici dell’apprendimento, ma si tratta di un numero esiguo: appena 774 bambine e bambini nel 2016/2017, pari allo 0,05% del totale dei frequentanti.
A livello territoriale, le alunne e gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento sono maggiormente presenti nelle regioni del Nord-Ovest (4,5% sul totale della popolazione studentesca), seguite dalle regioni del Centro (3,5%), del Nord-Est (3,3%) e del Sud (1,4%). I valori più elevati si rintracciano in Liguria (4,9%), Valle d’Aosta (4,8%), Piemonte e Lombardia (entrambe 4,5%). Le percentuali più basse, invece, si rilevano in Sicilia (1,1%), Campania (0,9%) e Calabria (0,7%).
Dal 2010-2011 al 2016-2017 si osserva, infine, una notevole crescita delle certificazioni di DSA, dovuta all’introduzione della legge 170 del 2010 grazie alla quale la scuola ha assunto un ruolo di maggiore responsabilità nei confronti delle alunne e degli alunni con questi disturbi, con più formazione per il corpo docente e una sempre maggiore individuazione dei casi possibili.
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